L’orrore dell’intolleranza
Quando ero a scuola, più precisamente quando ero al liceo, conobbi un uomo che mi fece a sua volta venire a conoscenza degli scritti di un altro uomo*. La scrivo così per una ragione precisa, e cioè perché l’insegnamento più grande che trassi da quella catena di conoscenza fu che ogni uomo va considerato per sé, e che a ogni uomo è indispensabile garantire rispetto. Per uno come me, tendente a infuocarsi per poco (tuttora) e (allora) incapace di riflettere su un nuovo argomento senza apportarvi concetti aprioristici che l’avrebbero corrotto, fu una rivoluzione dello spirito. Capii che, per rispettare ogni uomo, il primo da rispettare era colui che pensava in prima persona, e quindi me medesimo; e capii che per farlo dovevo tranciare di netto ogni forma d’indifferenza o di spregio nei confronti del prossimo. Questa si poteva manifestare principalmente in due modi: nella mancanza d’attenzione verso l’altro e nell’indisponibilità a garantire sempre il primato dei diritti della persona. Due concetti che s’incrociano e che si manifestano insieme ogni volta che ci si riferisce indistintamente a gruppi di persone che non abbiano deciso di sodalizzare per fare qualche cosa: ovvero, quando si parla genericamente di altri da noi.
Se è impossibile vivere in maniera del tutto irreprensibile, è difficilissimo potersi concedere di biasimare i comportamenti altrui. Ciò mostra come l’etica è l’indispensabile strumento che ci consente di vivere nel miglior modo possibile. Non un insieme di idee e dottrine, ma qualcosa che compone l’effettività del tendere al bene (che ciascuno vuole conseguire): una pratica sociale, un vero e proprio legare l’azione al pensiero. Non si tratta dunque di stabilire criteri e norme per giudicare la moralità dei comportamenti; il fatto che ci diamo delle leggi già mostra come esista una moralità sviluppata che unisce in forme di rappresentanza i singoli esseri umani cosicché stabiliscano a quale condotta ciascuno debba attenersi per sviluppare il ruolo della sua persona nella società senza arrecare danno ad altri. La questione è dunque darsi all’amor di sé nel modo più integro, per cui la tutela dell’individuo è l’unica chiave possibile di difesa della società. Tutela di ogni individuo, s’intenda, perché è evidente che ogni carenza in tal senso equivale a una prevaricazione, così come ogni prevaricazione non può che chiamare a un irrobustimento della società nel tutelare i diritti di ogni persona.
Oggi, nel baccano mediatico di chi fomenta e di chi esprime posizioni che non trovano origine in alcun tipo di riflessione accurata, si fa un gran rivolgere promesse di azioni negative contro gruppi: contro i musulmani che sono integralisti violenti e contro gli ebrei che sono i nuovi fascisti del Medioriente, contro i manifestanti che sono sovversivi e contro gli agenti di polizia che sono bastardi, contro le popolazioni dell’Est-Europa che crescono generazioni di delinquenti, contro gli immigrati clandestini africani che rubano lavoro e sogni agli italiani, contro i preti e/o gli omosessuali che sono tutti pedofili. E via dicendo (contro gli italiani che sono mangiaspaghetti mafiosi, ad esempio). Si parla di azioni indiscriminate contro questa o quella comunità, contro questo o quel gruppo. Quanto gioverebbe un ripensamento a ciascuno di coloro che riempiono la bocca di intolleranza: mettersi di fronte ai singoli eventi e alle singole persone, proporre se stesso faccia a faccia con un solo altro essere umano, trovare l’espressione dei cinque sensi intrecciata alle speranze e alle difficoltà di una persona che non ha nulla di meno da pretendere e nulla di più da offrire. Un essere umano di fronte a un altro, e viceversa; voltargli le spalle sarebbe difficile, molto più che farlo – a distanza – a un milione di esseri umani.
È per questo che non solo la coscienza, ma l’amor proprio può spingere ciascuno di noi a una riflessione nuova e unica: la propria. Che può portare ad azioni differenti, ma che non può mai prescindere dalla necessità di considerare ogni essere umano per sé, chiunque sia. Perché il pianeta è popolato da persone, non da gruppi distinti per provenienza, lingua, religione, tradizioni, opinioni, sessualità o condizioni sociali.
È facile invece attaccare o disinteressarsi di un milione di persone, perché non ci si deve chiedere dov’è che si trascura la tutela dell’umanità di ciascuno di essi. È così che si creano i generi, che al contrario andrebbero banditi quando si parla di umanità. È così che si generalizza, accostando arbitrariamente un pensiero specifico alla totalità dei casi. Come si suol dire, si fa di ogni erba un fascio. E come si chiama uno che fascia? Fasciaiolo? Fasciaro? Oppure…
§§§
* L’uomo che conobbi al liceo è Michele Padula, professore di storia e filosofia, che mi fece venire a conoscenza dei testi di Fernando Savater, professore di Etica all’Università dei Paesi Baschi. Il testo di riferimento, la cui ripetuta lettura mi offrì e mi offre tante occasioni di riflessione, è Etica come amor proprio.
(1° giugno 2023)
Complimenti.
Mi hai fatto riflettere.
Sembra poco, ma non lo è.