Pages Menu
RssFacebook
Categories Menu

Scritto da nel Arte e Spettacolo, Numero 87 - 1 Marzo 2012 | 1 commento

Disperato infartuatico stomp



Sono tante le visioni che abbiamo, nel nostro immaginario, della figura di Lucio Dalla. Cominciamo: in canottiera, con quelle spalle pelose nei concerti d’estate; in giacca bianca in tivvù, a parlare del suo ultimo lavoro, in look casual e disinvolto nelle conferenze stampa, elegante, al centro del palcoscenico mentre canta “Attenti al lupo”, giocando con le mani in un modo talmente coinvolgente che in un attimo centomila persone le muovono nella stessa maniera, in tailleur blu nelle recenti vesti di direttore d’orchestra, senza parlare della caratteristica che lo distingue a proposito di copertura del capo: sempre con l’affezionatissima berretta o con l’inseparabile panama. Ma oggi l’immagine che più ci colpisce di Lui è quella che ci ha proposto Il Giornale di sabato 3 marzo: un Dalla in piedi, col cappello, of course, dentro un lungo cappotto nero e con in mano – la cosa che ci parla di una partenza – una borsa di pelle, come quella del dottore. Un quadro triste perché sottintende in maniera inequivocabile il fatto che: “Me ne sto andando”.


Fiumi di parole hanno fatto seguito alla prematura dipartita. Quantità di biografie, sicuramente  utili per ricordare a qualcuno che “non sono solo canzonette”, si sono spese per il cantautore profano diventato sacro nel tempo. La provenienza dal Jazz “sempre presenziato” nelle sue fatiche, i suoi gustosissimi vocalizi al confine tra gorgheggi e grammelot, la penetrante e talvolta struggente poesia (tanto da far trionfare sullo sfondo di Matrix della sera, la scritta “Il Poeta”), l’ecletticità, la cui acquisizione non è poi così scontata, nel suonare tutti gli strumenti possibili. Si dice, infatti, che per quattro mesi non sia uscito di casa per studiare full time (e che full!), il clarinetto. La sacralità del “naufrago” ha due aspetti: quanto sacro era per noi nel suo essere artista e quanta sacralità, intesa come religiosità, egli aveva dentro come uomo. C’è chi l’ha scoperto a “cosa fatta” e c’è chi lo sapeva già. Fatto sta che Lucio aveva una gran fede. Per capirlo non occorrono testimonianze di preti e santi subito, basta una veloce, purché profonda, analisi di alcune sue creazioni. Toccava i cuori col suo cuore immenso e generoso. Diciamolo ancora una volta perché non venga dimenticato l’aspetto della sua generosità sia nel lavoro (nei confronti di altri artisti e per tutti i concerti di beneficienza che ha dato), sia nella vita perché spesso l’abbiamo visto tra i deboli e i malati: un cuore grande, sensibile verso il bene altrui, capace di generare espressioni forti ed universalmente condivisibili ma che non ha retto al precoce soffio finale.

Ricorderemo a lungo Lucio e ci mancherà. Ci rifugeremo nell’ascolto della sua innumerevole quantità di canzoni, romanze, pezzi, storie, chiamateli come volete, perché sicuramente un giorno ne sentiremo il bisogno e riascoltarlo sarà il nostro conforto. Ricorderemo di certo tutte le sue “opere”, adesso chiamiamole così. Dalla prima all’ultima, anzi dall’ultima alla prima: “Il Cielo”.

1 Commento

  1. “..fiumi di parole…”, dice un'altra canzone non sua. Molte a proposito, troppe a sproposito. L'unica certezza che possiamo avere è che fu un grande artista, semplice, genuino, scevro da vanità, presunzione, esibizionismo. Tutto il resto non ci importa. Mi sto ricordando di Oscar Wilde, che in prigione scrisse il “De Profundis”. M entre veniva condotto in manette verso l'aula del tribunale, umiliato per avere amato, fra due file di folla curiosa, un suo amico, che lo stimava, al suo passaggio si tolse il cappello. Io copio la mia traduzione artigianale, perchè il testo mi ha folgorato.
    *
    Quando fui portato giù dalla mia prigione alla Corte di Bankruptcy, fra due poliziotti, X. Y. aspettava nel lungo, tetro corridoio, davanti tutta la folla, che una azione così dolce e semplice fece ammutolire. Egli fu capace di levarsi solennemente il cappello davanti a me, quando, ammanettato e con la testa china io gli passai davanti. Gli uomini sono andati in paradiso per cose più piccole di questa. Fu con questo spirito e con questo modo affettuoso, che i Santi si inginocchiavano per lavare i piedi ai poveri o si chinavano a baciare i lebbrosi sulla guancia. Non dissi mai una singola parola a lui su ciò che fece. Non so al momento attuale se egli è consapevole che io fossi del tutto conscio della sua azione. Non è una cosa per la quale uno può rendere grazie formalmente con parole di circostanza. Io lo serbo nel forziere del mio cuore. … Mostra tuttoIo lo tengo lì come un debito segreto che sono contento di pensare di non potere probabilmente mai ripagare. E' imbalsamato e tenuto dolce con la mirra e la cassia di molte lacrime. Quando la saggezza non mi è stata proficua, la filosofia inutile, e i proverbi e le frasi di coloro che hanno cercato di darmi consolazione simili alla polvere e alle ceneri nella mia bocca, il ricordo di quel piccolo, affettuoso, silenzioso atto d'amore ha disigillato per me tutte le sorgenti della pietà: FATTO FIORIRE IL DESERTO COME UNA ROSA, e portato me fuori dall'amarezza del solitario esilio, dentro l'armonia del mondo con il suo cuore grande, ferito e spezzato. ……..
    r.e.

Lascia un commento a rosario equizzi Annulla risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>