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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 77 - 1 Marzo 2011 | 3 commenti

Elogio della donna selvaggia

Uscire dalla prigionia e dalla vergogna di essere donne, recuperando l’istinto femminino e la nostra natura più intima e selvaggia. Facciamoci guidare da tre grandi maestre del passato: Ipazia d’Alessandria, Giovanna D’arco e Simone Weil.

Questo non è uno scritto sulla supremazia delle donne sugli uomini, semmai sull’armonia e complementarietà tra i sessi.

Questo non è nemmeno uno scritto sulle pari opportunità, semmai sull’esaltazione delle differenze.

Questo infine non è uno scritto femminista, semmai femminino.

Per lunghi secoli, e oggi in forma più subdola e velata, molte donne sono state oppresse e tormentate, accusate falsamente, considerate con disprezzo “puttane”, “streghe” o “zitelle”. Al contrario, le donne che hanno taciuto i loro desideri e soffocato le loro aspirazioni e sogni, sono state definite “brave ragazze” e considerate “donne da sposare”. Molte di noi sono nate e cresciute in questo limbo di sabbie mobili, vivendo spesso un terribile sentimento di senso di colpa, di vergogna e di giudizio. Non sono stati solo gli uomini però a creare una società bigotta e conformista. E’ tempo che noi donne facciamo un Mea Culpa e smettiamo di cercare capri espiatori tra i politici, i religiosi o i nostri padri. Tocca guardare con sincerità dentro il nostro cuore e prendere consapevolezza del fatto che spesso siamo state noi a spegnere le nostre passioni per vergogna, a spogliarci per soldi o per la carriera, siamo state ancora noi a confondere la libertà sessuale con la libertà di essere.

Forse e’ tempo di liberarci, non dal maschilismo, ma dall'assenza del femminino nelle nostre vite. E bisogna farlo partendo dalle nostre viscere.

In realtà non esiste una scuola per essere “donne selvaggie”, espressione usata nel libro “Donne che corrono con i lupi” da Clarissa Pinkola Estes per definire le donne pienamente felici e vive. Attraverso una serie di favole antiche, infatti la psicanalista junghiana ci consegna non delle ricette magiche o formule universali ma solo dei messaggi che vanno al di là dei tempi: recuperare la nostra vita naturale ascoltando la nostra anima, stando il più possibile in contatto con noi stesse, esprimendoci nella nostra unicità e stranezza. Più brevemente: stare ritte anziché zitte, e in ascolto!

Qualcosa che potrebbe aiutarci in questo processo di liberazione e di riscoperta del nostro essere femminile è l’incontro con donne già in contatto con la loro psiche più libera e selvaggia. In tal senso, mi hanno colpito tre grandi eroine, accomunate da una forte passione e pronte a seguire in maniera ferma e decisa (a costo della morte) la voce interiore che le guidava: Ipazia D’alessandria, Giovanna D’arco e Simone Weil.

Ipazia era una famosa scienziata del IV secolo D.C., vissuta ad Alessandria d’Egitto. Come si può leggere da un’antica testimonianza, “Ipazia aveva fatto tali conquiste in scienza e letteratura da sorpassare tutti i filosofi del suo tempo. A dimostrazione della sua erudizione e delle sua abilità di conversazione, appariva spesso in pubblico in presenza di magistrati, e non aveva vergogna di partecipare alle assemblee di uomini. Eppure anch’essa cadde vittima della gelosia politica che a quel tempo prevaleva. Allora alcuni cristiani, presi da uno zelo bigotto e ferino, la trascinarono in chiesa dove la spogliarono completamente e la uccisero a colpi di tegola”. Ipazia ascoltava la sua anima e guardava il cielo e le stelle, interrogandosi sui movimenti dei pianeti. Il suo credo era la filosofia, piuttosto che le convenzioni sociali e religiose della sua epoca. La sua fede era il dubbio piuttosto che Dio. Il suo giuramento di fedeltà era ai libri piuttosto che a un marito. Ogni tegola scagliata contro Ipazia, in nome di quel Gesù che disse “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”, continua ad essere una cicatrice profonda sulla pelle delle donne, ma il suo eroismo è ancora oggi una luce che ci guida verso la verità.

Mille anni dopo, nel 1400, l’umanità bigotta e ferina finì per lacerare nuovamente lo spirito delle donne. Giovanna D’arco, santa e oggi patrona di Francia, fu infatti spinta al rogo con l’accusa di essere un’eretica solo perché sentiva delle “voci divine” e non aveva paura di ascoltarle. Giovanna D’arco era un donna selvaggia e seguiva il suo istinto. Sin dalla più tenera età, era così in contatto con il suo Io più profondo, che sapeva perfettamente quella che era la sua missione: scendere sul campo di guerra e difendere la sua patria dagli inglesi. Lo fece con grande eroismo e coraggio, contro tutto e tutti. Non soffocò mai quelle voci, anzi le portò fino alla corte del re, a cui senza vergogna chiese un esercito per liberare la Francia dagli invasori. Fu ridicolizzata e derisa più e più volte, soprattutto per il suo essere donna. Nonostante i successi militari e l’amore che il popolo nutriva per lei, fu tradita e venduta agli inglesi. Fu sottoposta a un lungo processo, in cui cercarono in tutti i modi di condurla all’abiura. Lo fece una volta, ma si rese subito conto che stava tradendo Dio e la parte più intima di sé. Allora preferì le fiamme piuttosto che, come lei stessa dichiarò, dannarsi l’anima.

E giungiamo al secolo scorso, a una donna che non fu lapidata né bruciata, ma distrutta dal suo amore per l’umanità, con cui ne condivideva empaticamente la sofferenza. Simone Weil era una filosofa nel senso più puro del termine. Insegnò per alcuni anni ma quando “alcuni pensieri si depositarono in lei senza conoscerne il motivo”, iniziò a unirsi alle lotte degli operai, delle donne e di tutti gli umili e oppressi del suo tempo, fino a sentire quella forza mistica paragonabile alla grazia divina. Simone Weil si scoprì cristiana ma fu sempre distante dalla Chiesa, che considerava troppo lontana dai poveri. Scelse, infatti, di seguire il suo istinto e restò sul campo di battaglia, con grande compassione e carità verso chi soffre. Non le fu risparmiata nessuna critica, né per lei né per il genere femminile: le dicevano che era pazza, strana, molto rozza e poco “donna” a causa della mancanza di attrattiva. Eppure Simone è stata una pioniera e una perfetta interprete del nostro tempo, intimamente legata ai drammi umani. Mi piace ricordarla con una meravigliosa similitudine a lei attribuita: i nodi che si fanno nella vigna tengono insieme ma non legano, esattamente come dovrebbe essere l’amore.

Ipazia, Giovanna, Simone: vi ringrazio perché la passione che ha accompagnato le vostre vite è per me una Musa immortale. Mi avete insegnato a rispettare quello che sento e non vergognarmene, anzi a lottare per difenderlo come le lupe fanno con i loro piccoli. Mi avete insegnato ad amare il brutto anatroccolo che è in me e avere la pazienza di vederlo trasformare in cigno. Infine, mi avete insegnato ad aspirare ad essere una donna selvaggia piuttosto che una brava ragazza.

3 Commenti

  1. Bellissimo testo, Maria, complimenti!

  2. que viva las mujeres selvajas!

  3. sono contenta di averlo letto, mi sento meglio! Grazie

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