La scuola del rigore contestato
Alla fine, dopo decenni di discussioni, anni di tentativi e naufragi, sembra che una riorganizzazione della scuola sia entrata in porto. Non vogliamo certo entrare nel merito dell’attuale riforma, lanciandoci in difese o attacchi tanto strenui e ciechi quanto inevitabilmente faziosi: davvero, «ai posteri l’ardua sentenza». L’aspetto macroscopico che oggi impone l’attenzione verso la scuola è indubbiamente l’ignoranza crescente degli alunni, molti dei quali terminano studi superiori e università, spesso senza saper neppure scrivere correttamente. Il recente caso dei “bocciati in ortografia” al concorso per magistrati è fin troppo eloquente: la scuola non ha svolto i suoi compiti. Da più parti, il fallimento dell’istituzione scolastica viene messo in relazione con i docenti, spesso e volentieri additati come impreparati e incompetenti. Interessante a proposito un articolo uscito su «il Giornale», a nome di Stefano Zecchi, il 26 febbraio 2010: la responsabilità nell’ignoranza delle attuali generazioni spetterebbe soprattutto agli insegnanti. Niente di più falso, niente di più vero. Verissimo, anzi, se si tiene conto che le più recenti leve della classe insegnante si sono formate al parcheggio biennale della Scuola di Specializzazione, sotto la guida degli apostoli del pedagogismo dal cuore d’oro: dal cuore d’oro perfino nell’ammissione ai corsi e nella concessione della tanto agognata abilitazione. Legioni di insegnanti sono state immesse nelle graduatorie e vomitate su un mercato del lavoro troppo esiguo per riassorbirne il numero. Così, affamati di quel punteggio che solo permette loro di salire la graduatoria verso il miraggio del posto fisso, nuovi e vecchi precari, sciamanti come cavallette, si sono riversati nei “Corsi di Perfezionamento”, mediante i quali consorzi e associazioni culturali, garantiscono da
A questo punto, si chiederanno i 25 lettori: «ma non si parlava di scuola e insegnamento?». Certo! Ma come ogni corporazione statale che si rispetti, anche quella degli insegnanti ha delle rigide regole d’ingresso e la disponibilità monetaria è inclusa: in fondo si tratta di un investimento per l’agognato posto fisso, dal quale nemmeno il "sanguinario Brunetta" potrà scalzarli! Parliamoci chiaro: quante sono le ragioni che possono portare al licenziamento di un insegnante: molestie sessuali, apologia di fascismo, percosse ai danni degli studenti, diffusione/uso in locali scolastici di stupefacenti… ve ne vengono in mente altre? No, la conoscenza della disciplina non è fra queste: si può anche essere ignoranti come tacchi, saltare gli Egizi in prima, o Carducci nelle classi quinte, passare il tempo al bar, entrare 10 minuti dopo e leggersi alla cattedra il giornale, nulla di tutto ciò potrà mai precludere la certezza del posto. Come? Conoscete un docente fannullone o ignorante licenziato? Cercate subito la sua data di nascita, l’indirizzo e il numero di telefono e giocateli al superenalotto: oggi è il vostro giorno fortunato! In caso contrario, rassegnatevi: insegnanti, postini, impiegati… la casta di chi svolge servizi pubblici è praticamente intoccabile! Allora – si grida – ben vengano i licenziamenti: valutiamo e buttiamo a mare incapaci e lavativi! Ma chi valuterà? Costituiremo apposite commissioni di insegnanti? Ma cane non mangia cane. Un dato sembra certo: il repulisti toccherà ai più giovani; i vecchi sono salvi, buoni o cattivi, capaci o incapaci. Si parla di lasciare campo libero ai presidi nell’ambito delle assunzioni. E se ciò significasse vedere gli insegnanti severi (quelli che bocciano) a casa e i “buoni” tutti al lavoro, onde riempire le scuole? Sì perché, purtroppo, vige una regola mai scritta: più promossi, più iscritti gli anni successivi, e nella logica della libera concorrenza tra scuole…
Fin qui, le ragioni contro i docenti, sottocasta degli statali, classe di parassiti, incompetenti e ignoranti; ma quali le ragioni di quanti, vecchi e giovani, tentano giorno per giorno di svolgere il proprio lavoro in maniera puntuale e rigorosa, incuranti di politica e, in certi casi, senza aver mai fatto una sola ora di sciopero? Sembra che giornali e grandi pontefici della scuola non si rendano ben conto di cosa significhi insegnare oggi, anche solo rispetto a 15 anni fa; e questo, nonostante le numerose immagini di “bravate” messe in atto dai nostri giovanissimi e in onda dai nostri telegiornali. Molti degli alunni appena giunti sui banchi dei patrî licei, spesso coccolati da genitori del “t’accontento sempre”, magari cresciuti secondo le più aggiornate teorie pedagogiche dell’apprendere-divertendo e della “motivazione intrinseca” allo studio, sono in gran parte assai poco scolarizzati: dal punto di vista comportamentale, alcuni non riescono a star seduti al banco per più di un’ora, non hanno idea di che cosa significhi interrompere la lezione alzando la mano, né, tanto meno, hanno la minima nozione del rispetto per il lavoro altrui, disturbando insegnante e compagni, riducendo spesso le aule come porcili. Tutto ciò, dopo che da più di un decennio si parla di scuola come «luogo dell’educare, prima che dell’insegnare», come pontificano i luminari di Scienze della Formazione, cui la formazione degli insegnanti è stata affidata nell’ultimo decennio. E non parliamo di conoscenze/competenze disciplinari: propio, pò, vado ha casa, luca a un cane, conoscienze e correzzioni, li disse (a lui!), gli disse (a loro!), visconti dimezzati da pallonate di cannoni turchi… è già tanto che non adoperino smiles e non esagerino con la punteggiatura da sms! Sì, la colpa è dei docenti: correggere un tema è noioso, figuriamoci 25 o 30; fatica insostenibile per una maestra correggere un tema dei propri bambini ogni due/tre settimane! Meglio così dimenticarsi che il proprio stipendio copre anche il lavoro che un docente deve svolgere a casa.
Hanno proprio ragione quanti additano gli insegnanti come primi responsabili! Ma siamo sicuri che la questioni sia tutta in questi termini? Abbiamo davvero idea di come si comportino in certe scuole gli studenti? Ragazzi spesso parcheggiati da un obbligo scolastico che scambia la quantità di anni con cui si scalda un banco con la qualità dell’apprendimento. Basterebbe un giretto su youtube per farsi un’opinione. Quali strumenti lasciamo agli insegnanti? Facile dire «motivateli!»: voi a 14 anni eravate motivati? Personalmente, a quell’età studiavo solo perché dovevo e la mia unica e titanica motivazione era nel disperato sforzo di piacere agli occhi verdi della tanto gentile Francesca di II A. Furono poi Dante e la filosofia greca a motivarmi un poco allo studio, col loro fascino più che umano; ma allora ero già più grandicello… la vera spinta venne all’università.
Crediamo veramente che gli insegnanti possano giovarsi di strumenti validi alla gestione della classe? dare l’esempio? essere «autorevole e non autoritario»? Oh, quali nobili parole! Utili a riempire di ammirazione il ragazzo «demotivato», il quale, in genere, continua a fare ciò che vuole; però, pieno di ammirazione, s’intende! Le note sul registro? Sul diario? V’è chi se la ride, fotografandole per metterle in rete, salvo mostrare lo sguardo contrito del pentimento a posteriori di fronte alla mamma appena convocata. Si scoprono poi genitori che, nel loro sconfinato amore, coprono e difendono a spada tratta un figlioletto che ha solo qualche problema disciplinare, perché «gli insegnanti non sanno tenere la classe». Casi assai frequenti. Concessa la bocciatura per il voto in condotta, molti licei (complice la normativa) adottano regole tali per cui questa ipotesi risulta infine assai remota. Aggiungiamo che, finalmente, sono tornati gli “esami a settembre”: ottima cosa, salvo poi riunirsi in scrutinio e sentire dirigenti scolastici che a fronte di una materia con 4 non ritengono sia nemmeno il caso di discutere e colleghi, preda di istinti materni incontenibili, che si battono come tigri per il cucciolo. Così coscienza salva. E se negli atenei all’esame di costruzioni o di anatomia si verificassero simili “sindromi materne”, avremmo ancora il coraggio di lamentarci di case che crollano come castelli di carte e di chirurghi alla Jack lo Squartatore? Ah, se i docenti, se noi docenti fossimo meno disgustosamente buonisti e più consapevoli del nostro mestiere, voteremmo all’unanimità per una secca bocciatura; ma sembra che davvero per taluni valga il manzoniano: «il coraggio uno non se lo può dare». Ahimè, non si tratta qui di preparazione nella materia, ma forse di etica.
Insomma, in moltissimi casi, richiami, note, sospensioni, esami a settembre… tutto risulta vano. Bocciatura?… un ricorso al TAR può spalancare l’autostrada della promozione. Avanti con l’ignoranza! Tralascio la questione dei “progetti formativi” che chiamano a scuola esperti in orario scolastico e sottraggono ore all’istruzione. Progetti, anche importanti, il cui numero è cresciuto negli ultimi 15 anni, a ovvio discapito delle materie che dovrebbero insegnare a scrivere e fare di conto.
Non dilunghiamoci sui libri di testo, che nel nobile intento di evitare la scogliosi ai ragazzi, sono stati accuratamente assottigliati, al punto che si è sovente costretti a ricorrere a tonnellate di fotocopie (ulteriore costo per lo Stato), sempre che l’istituto non imponga limitazioni, per ovvie ragioni di bilancio. Mi ritengo fortunato, perché, nonostante la mole più che doppia dei volumi che mi portavo sulle spalle 15 anni fa, oggi la mia schiena è perfettamente dritta.
Insomma, se è vero che sono intollerabili ignoranza e lassismo di certi “maestri”, come più volte denunciato, è altrettanto vero che la questione viene vista troppo spesso sotto un aspetto superficiale. Tutto ciò finisce per schiacciare, tra una normativa (per non dire Stato) inefficace e un’opinione pubblica a ragione insoddisfatta, quegli insegnanti che ancora hanno il senso del proprio dovere, la conoscenza, l’amore per la propria disciplina e l’ambizione – o l’utopia – di trasmetterla. Siano pure esaminati i docenti, siano pure banditi, provata la loro incapacità! Bene. Non illudiamoci, però, di aver risolto il problema. Non sarà, forse, che, nell’ossessione di vedere nella scuola il tempio dell’educazione e l’officina del pezzo di carta per tutti, abbiamo dimenticato che essa è innanzi tutto luogo di istruzione? Foscolo, Dante e i nostri padri non si sono mai stancati di ripetercelo, proprio a partire dai banchi di scuola: coltivando rigorosamente il bello e la conoscenza, l’uomo diviene civile. Abbiamo ancora il coraggio di usare questo “rigore”? Forse la realtà è ben più triste, in una società come la nostra, dove la parola «motivazione» ha ormai sostituito il termine «dovere».
Ciao Hagen,
sinceramente non capisco proprio la tua lamentela sulla mancanza di motivazione e del senso del dovere. I ragazzi sono curiosi per natura e sono sempre alla ricerca di spiegazioni per capire il mondo che li circonda. I ragazzi sono anche orgogliosi e cercano di farsi valere e di emergere secondo i valori del loro gruppo di riferimento. Purtroppo la scuola italiana mortifica la curiosità con risposte tipo “questo non è in programma” e spiega quando va bene il mondo di 100 anni fa (e solo in 5a liceo!!). Ai ragazzi non interessa studiare la roba che dici tu perché non gli permette di esprimersi ma li omologa. Chissà se le materie fossero a scelta e il livello di approfondimento legato ai risultati e non agli anni di studio…
ma se pensi al figlio di Bossi bocciato due volte alla maturita', la seconda volta a una privata di preti (mi sono sempre domandato cosa avra' detto per ottenere questo risultato) due volte per ricorso al Tar, trionfalemnte eletto in regione, vale la pena una scuola seria???
Grazie per i commenti e le domande. Rispondo con ordine.
Purtroppo, temo che Francesco non abbia compreso appieno il mio scritto, complice certo l'eccessiva lunghezza del medesimo. L'articolo vuole essere una risposta al problema del fallimento della scuola, collocando il ruolo e le responsabilità dei docenti (e non solo) in una prospettiva meno cieca e faziosa. Giacché le interessa, approfondisco la questione della “motivazione”.
Al termine dell'articolo non si lamenta affatto la presunta assenza di “motivazione” (cosiddetta “intrinseca”), anzi, si rileva come, forse, la scuola si stia accartocciando proprio a causa della sostituzione dell'idea di “dovere” con quella di “motivazione”. In parole povere, i ragazzi non devono più impegnarsi perché lo studio è un loro diritto/dovere, ma devono venire “motivati allo studio”. La macchina scolastica regola il suo funzionamento di conseguenza. Ma davvero si può parlare di “motivazione” per ragazzi tra i 14 e i 18 anni? E alle medie? Personalmente – come ho scritto – i miei compagni ed io studiavamo perché era nostro dovere; mancato il controllo, il libro prendeva polvere. La motivazione è subentrata all'università, più o meno per tutti. Del resto, questo è un aspetto che, più in generale, è evidente anche nella nostra società, laddove sempre occorre motivare (nel duplice senso di “fornire motivazione ad agire” e “fornire spiegazioni per un'azione eseguita”) ogni volta che bisogna compiere il proprio dovere, o non violare una legge. Forse, aveva davvero ragione chi riteneva la scuola un piccolo specchio della società.
Quanto al suo cenno ai programmi, in realtà, il Novecento è privilegiato a partire dalla riorganizzazione dei programmi stessi, attuata intorno alla seconda metà degli anni Novanta: studiata a fondo in 5^, l'età contemporanea è già toccata in classe prima con lo studio della geografia, che, concentrandosi sulle principali nazioni europee ed extra, ne ricapitola la storia soprattutto a partire dal Novecento. In genere, argomenti fuori-programma, a fronte di un interesse emerso dalla classe, vengono inseriti (le ricordo che le indicazioni di programmazione preventiva possono essere modificate nel corso dell'anno), dedicando loro un monte ore proporzionale al numero degli interessati, sempre che si tratti di argomenti pertinenti, come è ovvio. In caso contrario, si fornisce allo studente indicazioni perché questi possa reperire autonomamente materiale adeguato. L'insegnante, poi, dovrebbe essere sempre a disposizione per chiarimenti; se così non fosse, torniamo al problema di etica professionale da me sollevato.
Mi trova assolutamente in disaccordo circa la presunta “omologazione”: lo studio approfondito, serio ed effettuato con rigore, libera l'individuo, ne esercita la mente rendendola elastica e versatile, ma soprattutto autonoma, in primis rispetto ai condizionamenti di quanti vorrebbero “motivare”, spingere a fare; altro che omologazione! Ma questa è opinione antichissima, si pensi a Socrate o Cicerone. Caro Francesco, ha ragione: i ragazzi sono molto curiosi e aperti… verissimo! Eppure, non sfuggono, neanche loro!, al principio naturale che regola (perfino biologicamente) l'uomo: massimo risultato col minimo sforzo. Ecco che, quanto alla libera scelta delle materie da frequentare, io a 16 anni avrei optato per modellismo e panoplia dell'esercito romano tra impero e repubblica, o – più probabilmente – mi sarei precipitato ai corsi frequentati dalla bella Francesca, fossero anche stati taglio e cucito!. Certo non ero abbastanza maturo né “motivato” allora, come direbbe qualcuno; forse, non lo sono neanche adesso.
Rispondo alla seconda questione.
Caro Fausto, lungi da me fare di questa opportunità una tribuna politica. Il caso citato mi pare la prova di come in Italia la scelta politica sia analoga al tifo calcistico e, da questo punto di vista, la questione esula dal nostro argomento. Due mi paiono i rilievi: l'evidente insuccesso scolastico non preclude l'accesso alla gestione della cosa pubblica; l'elettorato, evidentemente, premia il nome più di ogni altra cosa. Non credo che dovremmo stupirci, dopo che da anni i telegiornali (e non solo) ci propongono cognomi di celebri politici riferiti a giornalisti e conduttori, nella nostra più totale indifferenza. Fuor di metafora lei giustamente chiede: a fronte della maturità del nostro popolo, vale la pena una scuola seria? Se questa è la domanda, in parte ho già risposto sopra. Ribadisco: vale sempre la pena di svolgere il proprio dovere, che, in ambito scolastico, consiste nell'insegnare e valutare con rigore, onde formare l'uomo e, di conseguenza il cittadino/elettore, attraverso il concorso di tutte le discipline; concorso che solo può far sorgere quel senso critico di cui, mi pare, lei sente la mancanza. Si consoli, è in buona compagnia.