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Scritto da nel Arte e Spettacolo, Numero 67 - 1 Marzo 2010 | 2 commenti

Le Carceri di Piranesi

Le Carceri di Piranesi

“Non esiste né legge né carcere capace di imprigionare i pensieri,
che sono l’unica essenza reale della libertà del essere umano”. 
Anonimo.


Una mattina invernale. Lo squillo del telefono mi annuncia una convocazione urgente per un lavoro in carcere. Mi affretto verso quel grande palazzo, che nonostante abbia l'aspetto stereotipato di un carcere, riesce a camuffarsi in mezzo alla periferia. Una mole di cemento capace di regalare una impressione surreale. Lo scenario mi fa tornare in mente le parole di una canzone di Capossela, “un posto […] che è lontano solo prima di arrivare”.

All’ingresso i poliziotti mi guardano interdetti. Cammino attraverso il cortile che mi separa dal vero e proprio centro di reclusione, apro la porta e davanti a me si presenta un ampio corridoio lungo la quale si aprono una serie di porte, tutte uguali. La sensazione che provo è la stessa di quando devo prendere un aereo e percorro il corridoio che conduce alle porte d’imbarco. Sensazione uguale ma contraria: in aeroporto il corridoio e ogni porta sono una via di fuga, un'uscita, questo corridoio invece, è il confine tra la libertà e la prigionia. Mi viene in mente anche l'immagine di un altro corridoio, quello che separa verticalmente la fila di panche di un'aula universitaria. L’aula è in penombra e in fondo c'è solo uno schermo bianco per la proiezione di diapositive. Riesco quasi a vedere le immagini proiettate durante la lezione, le carceri di Piranesi, immagini capaci di cambiare l’espressione dei volti degli studenti, dall’indifferenza allo stupore.


Giovanni Battista Piranesi nasce a Mogliano Veneto nel 1720, nell'allora Repubblica di Venezia. Studia architettura con Matteo Lucchesi, Magistrato delle Acque della città,  appassionandosi sulle opere di artisti come Palladio e Vitruvio. In un viaggio a Roma rimane affascinato delle rovine dell’antico impero e  sente la necessità di rappresentarle attraverso le sue famose incisioni, giacché negli anni precedenti aveva sviluppato una grande capacità per l’incisione, tecnica a cui dedicò la propria carriera, senza esercitare mai la professione di architetto. Famose le sue rappresentazioni, reali o immaginarie, delle vedute romane e delle rovine, fatte con una tale maestria, e in una quantità tale che, diventarono una comune merce d'acquisto di turisti e studenti europei che passavano dall'Italia durante il loro “Grand Tour”.


 
Le sue incisioni combinavano ricchezza descrittiva e fantasia. Furono di grande influenza per il Romanticismo del XIX secolo, avendo anche un importante ruolo nello sviluppo dell'arte del XX secolo, del surrealismo in particolare, e addirittura nelle scenografie del primo cinema horror. In una tra le prime e più rinomate raccolte di incisioni di Piranesi ci sono le sue prigioni (Carceri d'Invenzione, 1745-1760). Furono proprio queste sue incisioni che la suggestione del carcere mi riportava alla mente.

Le carceri di Piranesi hanno un'essenza ghiacciante. E’ accattivante la scrupolosa cura del particolare ma anche il particolare stesso. Immagina e incide strutture architettoniche colossali, muri alti e grossi, la freddezza della  pietra è quasi tangibile.  Lo spazio è invaso di scale che si intrecciano e confondono e che non portano da nessuna parte, ponteggi robusti, corde e tendaggi sono appese senza motivo apparente, grosse arcate che collegano spazi dove regna soltanto il caos. Gli spazi sono attrezzati da bizzarri strumenti adatti a ogni tipo di tortura, che nulla hanno da invidiare alle grottesche apparecchiature da tortura dell’inquisizione spagnola. I personaggi rappresentati sono invece delle anime vaganti. Corpi senza volontà sono lì per farci capire l’aspetto più lugubre e terrificante dei carceri di Piranesi. Da loro capiamo come gli spazi incisi tolgono la libertà di fare ma anche di essere, rubano la volontà di esistere. I personaggi vagano senza espressioni nel viso, come inerti, come ospiti dell’inferno. Piranesi incide la sua personale visione del carcere come Dante scrisse la sua dell’inferno.


A lavoro svolto, uscivo con una sensazione di libertà intensa ma anche certa curiosità che mi spingeva a chiedermi cosa prova, cosa pensa un condannato alle porte del carcere. Non credo di essere riuscita a immedesimarmi minimamente. Mi rimaneva il conforto di ciò che mi univa ai reclusi, ciò che unisce tutti noi a loro, la nostra capacità di pensare. Il pensiero non potrà mai essere imprigionato.

2 Commenti

  1. MI é piaciuto molto il tuo scritto su piranesi! io studio storia dell'arte all'università, proprio adesso sto facendo un lavoro sulle carceri. Ti sei basato su qualche libro per scrivere questo? o sei un genio? hehe mi piacerebbe contattarti : scrivimi se vuoi gbernabetta @ hotmail . com
    ciao :)

  2. Ciao, ci tengo a scriverti e condividere con te questa riflessione che hai fatto. Anche a me capita di riflettere molto su queste sensazioni (quelle di chi sta in prigione) a noi così lontane spesso, ma anche così vicine.
    Mi ricordo che sviluppai sul concetto di labirinto, conoscenza, biblioteca collegando il nome della rosa e altri concetti usandoli tutti come tema della mia tesina di maturità, una presentazione in power point, se non erro 7 anni fa ormai.
    Ora mi sto laureando in ritardo, e passo di qui visto che cercavo le immagini delle “carceri immaginarie” di Piranesi, visto che pensavo che mi rilasserebbe e piacerebbe molto averle appese in una casa dove spero potrò risiedere durante la mia vita. Anche se alla fine siamo sempre in viaggio e chissà se ne avrò il tempo. Eccoti spiegato anche come sono arrivato a questo post del tuo blog, quindi, attraverso la ricerca per immagini del motore di ricerca.
    Buone cose, grazie per aver condiviso i tuoi pensieri e aver letto.

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