La via toponomastica al socialismo
Il motivo per cui sarebbe da respingere la proposta del sindaco Moratti di intitolargli una via a Milano è che Craxi sarebbe morto da condannato, senza aver scontato la pena in carcere, ma all'estero, da latitante.
Certo, questo discorso non vale per i morti in esilio del regime fascista. Quello sì, che era un brutto regime cattivo: la nostra Repubblica, invece, è perfetta, non presenta mai episodi di malagiustizia.
Dunque si tratta di stabilire quando, se, come e perchè sia giusto ribellarsi agli organi dello Stato. Nel Novecento, le ideologie socialiste e comuniste sostenevano che fosse giusto farlo per abbattere o perlomeno riformare lo stato borghese: anche con la rivoluzione, che notoriamente non è un pranzo di gala. Dunque il Partito con la P maiuscola evidentemente porta in sé le ragioni di una certa infedeltà verso lo status quo.
Nel caso di Craxi, riformista, l'infedeltà contestata si sarebbe svolta senza spargimenti di sangue ma con l'uso della finanza pubblica, rivolta a diverse clientele e a diversi strati sociali. Occorre specificare che normalmente tale utilizzo si è svolto secondo le leggi di spesa, in ottemperanza ai diritti stabiliti negli anni Settanta e il cui sviluppo, che nessuna forza politica o gruppo sociale ha mai contestato in quegli anni e che tuttora un diffuso partito della spesa pubblica ben insediato nelle rappresentanze sociali largamente difende, è stata la leva del debito rilanciato dalle dinamiche monetarie dei tassi.
Quel partito della spesa che in questi tempi di crisi ha attecchito anche nei salotti dei più feroci liberisti dei Paesi anglosassoni per salvare le banche.
Craxi, facendo politica oltre la legalità, è stato un uomo di Stato militante della propria causa politica che non ha ammainato di fronte all'inattesa piega degli eventi e neanche alle sentenze della Cassazione. La sua storia, dopo aver percorso dal basso verso l'alto la scala della politica, è stata una fiera battaglia per il socialismo autonomista e, quando è stato chiamato a rinnegare i suoi comportamenti, non si è piegato ed ha preferito spezzare il proprio profilo di statista che quello di militante. Si è spezzato l'uomo di Stato, morto lontano dal Paese che ha servito, ma il militante non si è mai piegato rinnegando la propria storia. E le sue ragioni ancora così di attualità in mezzo ad un scialbo dibattito pubblico stanno lì a dimostrarlo. Come un macigno, come una maledizione.
Craxi è stato condannato perchè sapeva che qualcuno occultava somme al fisco e perchè lo ha ammesso a testa alta, a differenza di chi lo sapeva ma ha taciuto, a differenza di quel Paese di evasori e ladri che ha paura delle guardie, quando è giunto il tempo del redde rationem, invece che abborracciare un'ultima leggina per salvarsi, si è alzato in piedi di fronte al Parlamento e al pool di Milano per dire la verità. E' stato l'unico a farlo e per questo non reggono paragoni.
Del comportamento illecito ne può dare un giudizio morale chi, fuori dal tempo delle ideologie, ritenga la politica un ufficio da tempi di pace, una corte di anime belle al servizio del potente di turno e quindi tutelato dalle norme che quest'ultimo stabilisce. Non certo chi voleva cambiare il mondo, e poi si è accontentato di perdere il proprio insediamento sociale in nome di una politica monetaria restrittiva.
Dicevamo che non reggono paragoni. Non vale sostenere che il titolare di via Berlinguer ricevesse da Mosca i finanziamenti per il partito, o che l'intestatario di via Giolitti sia fuggito all'estero per sfuggire ai controlli successivi allo scandalo della Banca Romana. Mancano i protocolli ufficiali. O che Giulio Cesare e i suoi colleghi imperatori abbiano messo a morte le persone, massacrato innocenti e si siano avvalsi delle proprie guerre di conquista per arricchire personalmente se stessi e i propri clienti. Erano altri tempi.
Per non parlare di Via Tito, quello era un grande, lui sì che sapeva tenere unita la ex Jugoslavia. E poi era all'estero. Di certo non può valere il precedente dei padri della Patria e dei loro servi, come quel generale Lamarmora che si è sacrificato ad ammazzare tante persone per la monarchia sabauda ed il cui nome sta scritto su ben più di un cartello stradale. Bisognava fare l'Italia.
Per Craxi non vale niente. La Storia vale meno delle accuse di un testimone che non si è neanche presentato in aula. Nulla possono i fatti di Sigonella in cui ha schierato i carabinieri contro i marines (stava difendendo un terrorista), neanche vale il benessere degli anni '80 (quello dipende dalle congiunture), nè il calo dell'inflazione (che anzi fa scoppiare i tassi reali d'interesse e alimenta il rapporto debito/PIL!), non le serate passate a guardare la tv commerciale in diretta nazionale (quello è Berlusconi e poi che nostalgia per Carosello), neppure i finanziamenti alla causa palestinese e cilena (non sono documentati), men che meno il concordato con la Chiesa (un banale compromesso), ma soprattutto è del tutto insulsa la ragione avuta nel combattere il comunismo, italiano ed internazionale, nel nome della libertà (d'altra parte, in Italia, chi mai è stato comunista?). Non vale neanche un grafico della Banca d'Italia che individua a metà degli anni Ottanta un'inversione di tendenza del rapporto deficit/PIL.
Di una cosa siamo certi: se Berlusconi riuscirà a non essere legittimamente condannato, approvando le sue leggine ad personam, i sostenitori della formalità legalitaria nulla avranno da obiettare ad intitolargli piazze e vie. E avranno legato ancora una volta il proprio al carro del potente.
A quel punto, vivremo in una toponomastica meno libera, checché ne dicano le loro carte giudiziarie, perché una parte della nostra storia democratica, votata a maggioranza, legittima e repubblicana sarà stata cancellata dalle parole di un intermediario di conti all'estero in base alle quali si pensa di scrivere sentenze e riscrivere la Storia.
Ma a chi non gode della serenità di leggere e rileggere la storia come un libro aperto, non perderemo certo tempo a spiegare che cosa fosse il gusto della libertà e dell'autonomia nel tempo delle ideologie.
Parole sante, per Dio, parole sante!!
L'incapacità del tutto italiana di costruire una memoria comune serena e il più possibile obiettiva ci procurerà guai e molti altri guai ancora….
quindi??
1 a 0 per i craxiani e palla al centro?
credo che questo tema debba essa trattato più sistematicamente e meno ermeticamente
però questo articolo mi sembra convinca più dell'altro contro i sentimenti dei traditi
Caro Anonimo ringraziandoti devo scusarmi e chiederti di firmare le congratulazioni, altrimenti l'arbitro non convalida.
Favorevole ad approfondire il tema, farò del mio meglio
mi chiamo Luca,
e già che ci sono preciso che in teoria mi trovo più d'accordo con le tesi dell'altro articolo, ma questio mi sembra più convincente..forse l'autore è uno dei traditi!!!!
per questo ci terrei a capire meglio la questione che mi interessa ma che mis embra solo accennata
non si parla della magistratura e della politica, che è un male attuale, nè degli americani a cena con di pietro..a me sembra che grazie a craxi BErlusconi oggi può accusare la politicizzazione della magistratura, quindi è su questo che bisogan riflettere..spero anche in futuro
grazie bel lavoro
Grazie Luca, allora la tua preferenza vale doppio! Ricambio rispondendo alle tue sollecitazioni, che esulano l'oggetto di questo articolo che riguarda solo la polemica sulla via da intitolare.
In sintesi, secondo me Berlusconi può accusare la magistratura politicizzata perchè essa, agli occhi degli italiani (quotidianamente), non si rivela come 'giusta' e perchè, emblematico il caso di Craxi, ha svolto anche una funzione 'politica'.
Personalmente non credo affatto alle 'toghe rosse', ma devo dire che faccio fatica a vedere in Di Pietro un campione di moralità pubblica, di comportamento irreprensibile e morigerato: presumo che i prossimi scoop avvalleranno questa tesi.
Quindi, secondo me è per colpa di Di Pietro che Berlusconi raccoglie consenso quando accusa la magistratura di essere politicizzata e così, dopo aver sfruttato il Craxi-politico per i decreti, il Craxi-indagato per picchiare sul sistema ed entrare in politica, sfrutta il Craxi-morto per salvarsi la ghirba.
Per questo l'unica opposizione che vedo possibile per una sinistra riformista è quella di distinguere le ragioni di Craxi dai torti di Berlusconi.
Ma sulle ragioni di Craxi (tema ricco ancora da sviluppare) manca il coraggio di ammettere i torti di Berlinguer. I dirigenti attuali del PD non risolvono il proprio complesso di Edipo e fino ad allora non saranno in grado di proliferare.
Dunque, continuare a sparare a zero su Di Pietro e grillini è la nuova moda degli ultimi tempi, in linea con il sempreverde “non appiattirsi sull'anti-berlusconismo”. Inviterei a spogliarsi da pregiudizi e riflettere sulle posizioni concerete sostenute dai “giustizialisti”; scoprirete, con vostro grande stupore, d'essere d'accordo in molti casi con loro.
La memoria comune invocata da Pippo dalle mie parti è “al tempo dei socialisti mangiavamo tutti”!
Su Craxi l'importante è che il dibattito non dimentichi i suoi peccati originali, senza cancellare il coraggio delle scelte politiche (discutibili, ma così deve essere). Gli articoli di questo numero de L'Arengo indirizzano nella giusta (aperta) direzione l'eventuale discussione.
Ciao Dario
secondo me è corretto il ricordo delle tue parti: il debito pubblico lo paga chi ancora non c'è e il fatto che al tempo si mangiasse tutti vuol dire che esso era, tutto sommato, distribuito diffusamente e non concentrato in poche mani. Questo è incompatibile con la vulgata che ritiene negli appalti gonfiati dalle tangenti la ragione del debito, che invece affonda altrove (inefficienze pubbliche, stato sociale esteso senza criterio economico).
Non capisco quale sia il termine 'originale' riferito al peccato di Craxi: in origine il PSI era esente da oscuri legami internazionali e nazionali (a differenza di PCI e DC).
Sarebbe molto interessante che tu scrivessi un articolo su quanto siamo tutti d'accordo con i giustizialisti.
Ciao Tobia,
mi riferisco a tutte quelle prese di posizione di buon senso da parte di Di Pietro e compagnia che pongono come condizione prioritaria semplicemente la legalità.
Volendo ragionare per massimi sistemi, cosa che ritengo più edificante e necessaria per trarre da questi anni insegnamenti più duraturi, rispetto della legalità significa rispetto dello status-quo: i partigiani venivano condannati perchè attentavano allo Stato, anche in tempo di pace, i pochi che erano. Erano terroristi. Ma più che a questa tipologia dramamtica, la situazione attuale riguarda più la farsa di un'amnistia che copre i medesimi reati fino all'89 e li colpisce con la dannazione eterna per i due anni successivi.
Io credo che il rispetto della legalità sia necessario per qualsiasi convivenza civile, infatti mi ritengo un riformista e non un rivoluzionario, in particolare perchè personalmente condivido e difendo la Repubblica italiana e credo che sia la condizione necessaria per migliorare la vita dei cittadini della penisola.
Tuttavia, e qui io e Di Pietro e compagnia non saremo MAI d'accordo, ritengo sbagliato e foriero di sventure drammatiche da stato autoritario il sillogismo che dalla violazione della legalità discenda una condanna morale e un bando dalla comunità politica.
Ritengo la legalità una necessità, ma la legalità è superabile perchè la legge cambia: i giudizi morali sono personali, i giudizi pubblici sono politica.
Pertanto non trovo esempi in cui essere d'accordo con loro.
Ciao
Alcune osservazioni in ordine sparso.
1) Tolte un paio di sbavature su Sigonella (in realtà bieca resa alla realpolitik filopalestinese, che di fatto mandò liberi gli assassini di un anziano in carrozzella) e sui rapporti partito-impresa (molta politica, sì, ma anche qualche pasticcio), l'analisi di Tobia su Craxi mi sembra impeccabile e, se dio vuole, in argomentata controtendenza contro un insopportabile senso comune “di sinistra”.
2) A margine dei dipietristi, dei grillini e del resto della compagnia, mi verrebbe da pensare a Marx. Al diritto come sovrastruttura della classe che domina. Alle insopportabili morali borghesi degli uomini “incorruttibili” e “onesti”. Alla consapevolezza nitida e incancellabile del nucleo di violenza e dominio che governa la storia, e la politica (che, come disse una volta un craxiano di talento, è “sangue e merda”). La scrittura dei manuali di storia con le fotocopie dei verbali di questura, invece, la lascerei a Travaglio e Santoro.
3) il concepire la questione morale come questione ontologica, viene da lontano. Cioè da Berlinguer (“siamo passati dal materialismo dialettico al moralismo dialettico”, chiosava quella linguaccia tagliente di Pajetta). Craxi ne fece sempre e solo una questione politica.Fu la sua grandezza di statista, il suo limite di politico rinserrato e decadente (il flirt finale coi settori più retrivi della DC, e il discorso al Parlamento sui finanziamenti illeciti che fu forse tardivo e, per così dire, a babbo morto), ma di nuovo la sua grandezza di esule. Garibaldino a baionetta sguainata contro gli ipocriti, i mozzaorecchi, i grandi inquisitori delle mercedes regalate, e dei soldi restituiti nelle scatole da scarpe. Lieve gli sia la terra, per sempre.