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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 63 - 1 Ottobre 2009 | 2 commenti

Il viaggio del volgare nell'oltretombra

Il Viaggio del Volgare nell'Oltretomba

"Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinnovellate di novella fronda
puro e disposto a salire a le stelle"
(Dante Alighieri)
Ungaretti, interrogato da Pasolini sulla personale sua esperienza di trasgressione alla norma, risponde: Sono un poeta, quindi incomincio col trasgredire tutte le leggi facendo della poesia; ora sono un vecchio e allora non rispetto più che le leggi della vecchiaia, che purtroppo, eh, sono le leggi della morte. Diversa sarebbe stata la risposta di un grammatico, che le leggi della morte fa di tutto per trasgredirle: non accorgendosi forse che trasgredisce così anche alle leggi della vita. Come succede nei vocabolari, che Julio Cortàzar faceva chiamare "cimiteri" (cementerios) ai suoi personaggi di Rayuela1.
Quello della grammatica e del vocabolario può essere inteso come un tentativo di tenere in vita i morti. Le parlate cambiano col tempo e con lo spazio, a cui pare siamo soggetti. Il tempo e lo spazio non possono essere fisicamente ignorati, e la parola fa parte di quella fisicità al di là della quale soltanto esiste il silenzio: silenzio là  dove il tempo e lo spazio non hanno limiti, e cioè in una dimensione mentale. Ma la parola, anche se solo pensata, è in effetti un'incarnazione di tale dimensione. L'idea, platonicamente ragionando, è mentale; la parola incarna l'idea. La parola è quindi soggetta al tempo e allo spazio e alle leggi della vita e della morte.
Le leggi della morte, com'è accaduto per esempio al latino classico; le leggi della vita, com'è accaduto quando Dante Alighieri ha scritto la Commedia, guidandoci nell'avventura del volgare che purificandosi in "Purgatorio" sale ad essere "volgare illustre" (illuminante e illuminato, secondo l'etimologia), lingua che può finalmente spaziare in tutti gli ambiti della vita umana, con una molteplicità di registri che era inimmaginabile per la parlata volgare, prima. Per questo si usava il latino, la "lingua grammatica"

Il viaggio dantesco può significare molte cose, ma di certo è anche il viaggio del volgare italico, la lingua del sì, il viaggio del mezzo espressivo del poeta che passa attraverso gli stili più bassi e popolari, unico ambito in cui il volgare era usato fin'allora, accompagnato da un poeta classico (Virgilio) che lo guida attraverso la classicità  (di cui più volte si fa interprete, non conoscendo Dante il greco), lo guida all'incontro con filosofi, poeti, cantanti, amici e pari che contribuiscono all'espansione del mezzo espressivo, e mentre sale in Purgatorio – in quello che nel nostro discorso è lo sviluppo (e purificazione) di una lingua grezza per l'avventurarsi di un poeta in ogni piano della realtà – mentre sale in Purgatorio Dante quegl'incontri se li porta con sé: che la dolcezza ancor dentro mi suona, dice. E l'esperienza del poeta che s'innalza (anche nella gloria di vedersi pari coi grandi poeti antichi e nel riconoscimento degli amici) fa innalzare la sua espressione. Lo dice esplicitamente: Lettor, tu vedi ben com'io innalzo / la mia matera, e però con più arte / non ti maravigliar s'io la rincalzo, così ci dice guidandoci per l'entrata stretta del Purgatorio. Virgilio guida lui e lui guida noi. Finché arrivato al Paradiso Terrestre, cioè alla propria umanità  pura da impedimenti dovuti all'idiozia, l'umanità davvero libera perché conosce l'errore, conosce il mondo in ogni suo aspetto, conosce negli altri la propria bestialità, la propria vanità, la propria divinità pure, liberato dall'ignoranza è un uomo libero, davvero in possesso del libero arbitrio, e qui Virgilio lo invita a prender per guida non più lui ma il suo stesso gusto, ch'è già  maturo. Ora può realizzare davvero quel che era l'ideale del Dolce Stil Novo.
Il Dolce Stil Novo era un buon tentativo, ma i tempi non erano maturi, e nemmeno per quell'opera mastodontica, forse sottovalutata, nemmeno erano maturi i suoi poeti: Guinizzelli e Cavalcanti, Dante compreso, ancora semplici "dicitori in rima"; e tentativo stava rimanendo. L'idea era l'addolcimento del volgare per ispirazione diretta della poesia che nel modo più onesto e sincero viene dal di dentro, quell'Amor che nella mente mi ragiona. All'epoca della Vita Nuova, quando Dante era giovane e scriveva di Beatrice, le buone intenzioni a questo proposito non mancavano; mancava però alla lingua tutto un processo purificatorio e ascetico che non può essere evitato; mancava ai poeti quell'onestà con se stessi che impedisce, pur essendo sinceri, di essere onesti nell'Opera.
Il primo passo di Dante una volta padrone di se stesso e uomo libero dai pregiudizi, è di confessare chi è veramente. Beatrice, l'ispirazione interiore, lo costringe a farlo. Anzi è Beatrice stessa che rivela il suo nome, lo chiama: Dante!, mentre fin'ora il nome del poeta era rimasto nascosto da più e più allusioni. E confessa il suo errore: essersi allontanato dalla vera ispirazione. Ha peccato quindi di manierismo, Dante. S'era messo a copiare autori provenzali e occitani, a dare sfoggio di stile difficile nelle contese con altri rimatori, ha scritto in latino, s'è lasciato ispirare dagli eventi politici e quindi esterni, temporali, soggetti al decadimento, non ascoltando più la voce dell'interiorità eterna, intima e vera, che prende figura per lui in Beatrice. Finché, sgravato da ogni peso, da dentro si sente chiamare: Dante!… e scoppia a piangere. E confessa. Ora è libero anche della maschera del grande poeta, di cui era indegno e se ne vanagloriava da semplice dicitore in rima (e intimamente, fino a quel momento, dev'essersi sempre sentito indegno di quel che raccontava di essere)… e proprio lì, paradossalmente, diventa poeta davvero. E sale quindi in Paradiso, puro e disposto a salire a le stelle. È da solo con se stesso, nudo come un verme come si è sempre di fronte alla verità, con la propria ispirazione che ora lo guida; e con la sua lingua.
Dante, al punto di lasciare la montagna e dal Paradiso Terrestre salire al Paradiso Celeste, volando non per sforzo ma per effetto naturale dell'essere libero dai pesi del pregiudizio e dell'istinto ancora immaturo, naturalmente sale come dice, facendo parlare Beatrice… in un fiume l'acqua dal monte naturalmente scende a valle. Sta riuscendo nella sua impresa di rendere illustre e nobile il volgare: adesso in volgare si può scrivere anche di filosofia e addirittura si può parlar di Dio. Questo era impensabile, prima. L'aristocratico Dante prende il volgare, lingua grezza e primitiva, e dal basso lo tira su con sé, mentre lui stesso si sgrezza con l'esperienza di vita e gli studi, e rende quella parlata "volgare illustre".
Per quel che si diceva, dell'essere una parlata soggetta alle leggi della vita e della morte – e quindi della metamorfosi – quel viaggio nei tre mondi ultraterreni dovrebbe aver luogo in ogni libro che si rispetti: partire dalla lingua parlata (sempre accompagnati dalla tradizione letteraria e dai classici) per rendere degno di qualsiasi argomento il volgare della propria generazione. Il processo del rendere illustre il volgare è quindi ciclico, come ogni metamorfosi soggetta alla vita e alla morte, al tempo e allo spazio: ogni generazione ci lascia o dovrebbe lasciarci il suo Paradiso, dove l'autore ci guida a esplorare da noi stessi la realtà e la vita (e la morte) come nella Commedia Virgilio guida Dante e nello stesso tempo Dante guida il lettore.
Questo, nel migliore dei casi, potrebbe sostituire le regole e le grammatiche.
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1 In Rayuela, caprinamente tradotto in italiano col titolo Il gioco del mondo, Horacio Oliveira, argentino di Buenos Aires e alter-ego dell'autore in un gioco infinito di specchi e di alter-ego dell'alter-ego dell'alter-ego, Oliveira fa come un viaggio nell'aldilà  (al di là  dell'oceano Atlantico) a Parigi e ritorna. Il gioco del cimitero da lui praticato consiste nel comporre delle frasi utilizzando le parole in disuso che si trovano in una pagina del vocabolario.

2 Commenti

  1. caro simone,ti abbiamo letto.
    nerio e camilla bottazzi

  2. NOTA DELL'AUTORE
    Nel terzultimo paragrafo è stata corretta una frase e per cui resa deforme e incomprensibile. La frase è stata corretta così: “(…) naturalmente sale come dice, facendo parlare Beatrice… in un fiume l'acqua dal monte naturalmente scende a valle.”
    MA L'ORIGINALE DICE: “(…) naturalmente sale come – dice, facendo parlare Beatrice – in un fiume l'acqua dal monte naturalmente scende a valle.”
    Mi scuso con il lettore per il ritardo, ma non ho avuto questo mese la possibilità di sorvegliare la correttrice di bozze.

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