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Scritto da nel Internazionale, Numero 50 - 16 Novembre 2008 | 5 commenti

Non siamo mica gli americani. Però…

No, Veltroni non può catturare la vittoria di Barack Obama in maniera così goffa e grossolana! “Obama uno di noi” assomiglia più ad un coro da stadio che ad un ragionamento politico: piuttosto saremo noi a cercare di essere “uno dei suoi”, seguendo un trend di affannosa esterofilia di fondazione del pensiero politico italiano che corre, a sinistra, da Tony Blair a Zapatero, per non parlare del mito di Sarkozy a destra. Un'imbarazzante eteronomia atta a nascondere l'incapacità della nostra elaborazione sociale e culturale di reggersi sui propri piedi, di creare immagini future proprie della realtà “eccezionale” italiana, radicate su di essa.

Tanto le ragioni di tale incompatibilità sono state ricordate al segretario del PD da decine tra giornali e blog, quanto sembra inutile stare qui a ripeterle. Tralasciando la sofisticata differenziazione personale (“lui è giovane, nero e veramente nuovo, Veltroni passatello, bianco e irrimediabilmente riciclato”), Obama ha costruito il suo discorso politico sulle basi di una auto-rappresentazione autenticamente americana, profondamente insita nei caratteri distintivi di un Paese concepito sulla comunità nazionale (“noi non siamo mai stati un insieme di Stati Rossi e Stati Blu. Noi siamo e sempre saremo gli Stati Uniti d'America”), su un idealismo democratico sostanziale con aspirazioni messianiche ed universalistiche. Su sfide concretamente particolari di una super-potenza rigonfia ed in declino (il riconoscimento dei limiti dell'unilateralismo, della crescita sregolata, della “mano invisibile” automaticamente creatrice di giustizia sociale).

Obama ha vinto apportando una decisa rottura alla continuità politico-strategica dei Democratici americani. Spiace ammettere che, nonostante la fondazione del nuovo partito, sono veramente pochi gli elementi di discontinuità emersi dal PD di Veltroni rispetto al passato. Scomodo il primo Vasco Rossi per questo semplice pensiero: non siamo mica gli americani. Nel male come nel bene, aggiungerei.

Però.

La levata di scudi sulle improvvide dichiarazioni veltroniane nasconde un'insidia, forse peggiore dell'idealismo a buon mercato. Considerando la provenienza di alcuni sarcasmi (Rutelli, D'Alema, Parisi), sorge un dubbio: che il realismo politico non derivi tanto da un pragmatico scetticismo quanto piuttosto dal conservatorismo viscerale di una classe politica italiana incapace di pensare se stessa e le dinamiche politiche in altro modo? Se escludiamo l'irruzione improvvisa del “cambiamento”, qualsiasi forma esso possa assumere – un uomo, un'idea, una procedura -, quale forza mai può aspirare a invertire la perversa inerzia della politica italiana, l'infinita perpetrazione di ingiustizie e di rassegnazione sconsolata alla piccolezza morale e materiale dell'Italia? Le manovre delle segreterie di partito? Le Commissioni bicamerali? Una sentenza di condanna? Il crollo del capitalismo?

La santificazione di Obama è prematura, sono prevedibili risvolti ben più pragmatici di quanto gli stessi ammiratori siano disposti oggi ad ammettere. Ma il pragmatismo avrà seguito un momento di vero respiro per la società americana, costretta dalla superiore forza evocativa di un uomo ed un discorso credibilmente percepibili come alternativi all'esistente a guardare dentro di sé e a trarre le proprie conclusioni. Gli americani hanno scelto in Obama una rappresentazione di sé stessi, l'atto conta di per sé. Seguendo gli schizzinosi cinismi dei nostri leader, gli italiani hanno scelto Berlusconi come rappresentazione di sé stessi. C'è da esserne fieri?

Mi dispiace per Veltroni: il pensiero politico del PD italiano deve partire “da dove siamo”, da un rapporto riflessivo tra la comunità e la propria immagine collettiva, da cui discende la narrativa di ciò che siamo, dei problemi che abbiamo, delle cose da fare per risolverli. Non serve a nulla se non a rendersi ridicoli aggrapparsi ad una visione di società che non è la nostra. Ma ci rende altrettanto stolti rimirare l'inconcludente genialità della nostra realpolitik ed escludere ogni cambiamento di passo dall'alto del nostro sarcastico cinismo.

Non siamo mica gli americani. Però serve coraggio ad accettare di essere italiani.

5 Commenti

  1. e allora chi sarebbe il tuo uomo nuovo? D'Alema? verranno al contrattacco con elmi ed armi nuove

  2. Probabilmente nn mi sono spiegato bene, ma questo articolo va proprio in direzione profondamente contraria al cinismo D'Alemiano rispetto ad Obama.

    Personalmente sono anche parecchio contrario all'attesa dell'”uomo nuovo”, il cambiamento dall'Italia può provenire solo dal ventre stesso dell'Italia, da un diverso atteggiamento dei suoi cittadini nella vita di tutti i giorni: sicuramente non da un D'Alema, un Veltroni o un Grillo qualsiasi.

    E lo stesso vale per gli Stati Uniti, Obama o non Obama.

  3. La politica italiana è andata verso una progressiva personalizzazione della politica tipica del sistema d'oltroceano.

    Queste dinamiche sono state molto bene sfruttate dal centro-destra (Bossi e Berlusconi) ed in maniera alquanto scadente dal centro-sinistra (Prodi, Veltroni, ma anche D'Alema).

    Se l'Italia, ovvero la sua classe dirigente, non riuscirà ad improntare e a riformare il sistema politico secondo lo Spirito delle Leggi (fa quasi ridere a dirlo) che è immagine dell'Italia, purtroppo credo che dovremo aspettare un vero e proprio messia (per chi è di sinistra in quanto la destra lo ha già trovato, sembra).

    Secondo questa visione penso che il sistema proporzionale (che non sostengo particolarmente e che ebbe le sue negative conseguenze) fosse più coerente con lo spirito culturale italiano che, rigide posizioni partitiche a parte, vede con una gamma di colori più ampia di un semplice bianco e nero americano.

  4. sono d'accordissimo con quello che secondo me è il punto centrale dell'articolo..in Italia non si può fare politica esternando tutto: la critica a quello che ha fatto quello, l'imitazione da quello che ha fatto quest'altro. bisogna parte dal “chi siamo” e la risposta è, non siamo gli americani, non abbiamo la loro storia (ma nua molto più complessa), la loro cultura democratica, non abbiamo la loro dinamicità. abbiamo avuto dittature, abbiamo avuto, nel bene e nel amle, il partico comunista più grande d'Europa.
    al cambiamento della storia e dei fatti, non ha avuto seguiro un cambiamento adeguato della politica.
    è vero, la “classe politica italiana incapace di pensare se stessa e le dinamiche politiche in altro modo”

  5. cucù!!

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