Lo strano legame tra il Ritalin e Linda Blair
Cari lettori, oggi vorrei parlarvi di come, con mia grande sorpresa, ho dovuto rendermi conto di soffrire del misterioso Disturbo da Deficit d'Attenzione e Iperattività (ADHD). Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, infatti, questa innovativa malattia colpisce chi presenti almeno sei dei sintomi riportati, da almeno sei mesi, ed ecco dunque la mia confessione: sì, spesso “evito, non gradisco e sono riluttante a iniziare attività che richiedono un impegno mentale prolungato (come compiti di scuola o casalinghi)”; sì, spesso “perdo gli oggetti necessari alle attività”; sì, spesso “sono distratta da stimoli esterni”; sì, spesso “manipolo oggetti che ho in mano o le dita”; sì, spesso “sembro pronta a partire o agisco come mossa da un motorino”; e infine sì, “spesso do la risposta prima che si completi la domanda”. Ammetto che quest'ultimo sintomo sia alquanto maleducato. Ma mai avrei immaginato che, quando non ho voglia di lavare i piatti, quando non trovo le chiavi di casa, quando mi distraggo perché qualcuno mi parla, oppure quando parto da sola zaino in spalla, dovrei piuttosto rivolgermi ad un centro specializzato e chiedere, per favore, di essere curata. Ovviamente, con qualche sana pillola. Dimenticavo quel grave sintomo che consiste nel muovere le dita: anni fa una giornalista mi disse, quasi con ammirazione, che le mie unghie mangiate erano un bel segno di riconoscimento della tipica personalità artistica. Ma i giornalisti cosa ne sanno di psichiatria?
Dunque, ho bisogno di aiuto. A Bologna, potrei per esempio rivolgermi alla dottoressa M. P., il cui fascicolo in esame presso la Procura per esercizio abusivo della professione medica è, per fortuna, appena stato archiviato. Sul sito dell'associazione “Giù le mani dai bambini”, che si batte contro la somministrazione di psicofarmaci ai ragazzi, è possibile fare conoscenza con la signora P. grazie ad un'illuminante registrazione anonima che un finto genitore ha avuto l'insolente idea di condividere con la rete, e con la Procura appunto. In essa la buona signora spiega in breve in cosa consista l'ADHD: “abbiamo una particolare configurazione cerebrale”, la quale comporta “che loro vivano in maniera diversa da noi”. Loro chi? I bambini-mostri, quelli vivaci. E noi, chi? Mi fermo prima di dover necessariamente incorrere in una discussione su normalità e devianza, nella quale peraltro potrei ritrovarmi a ripetere le considerazioni vecchie un secolo di Emile Durkheim. Sentiamo piuttosto ancora la P.: “sono bambini che come il mio, che corre sempre, che non si ferma mai. Se un bambino non fa le varie esperienze con le costruzioni, con qualche gioco, no? Non riesce nemmeno a farsi nel cervello quei tasselli, attraverso gli stimoli, io li chiamo tasselli ma sarebbero delle sinapsi neurali per il quale lui impara, se metto il gioco qui, succede questo qui. Se uno non lo fa mai, perché corre, non ha la possibilità di formarsi questa parte del cervello dove c'è la memoria cognitiva” (tutti gli errori di sintassi e grammatica sono opera della P., n.d.r.).
Dunque il figlio della signora M., sorprendentemente, soffre di ADHD? Corre sempre? Fossi un bambino con una madre che gioca al piccolo Piaget, che mi costringe a fare le costruzioni e che, soprattutto, parla di me in questi termini (“loro vivono in maniera diversa da noi”), anch'io cercherei di correre, e il più lontano possibile. E cercherei di disturbarla. E cercherei di farla ammattire, per ripicca. Ma è lontana ormai la preistoria della psicologia, in cui i disturbi infantili venivano inquadrati all'interno delle dinamiche comuni al nucleo familiare nel suo complesso: una madre segretamente insoddisfatta del proprio stato genitoriale, un padre debole, un'unione malferma, un figlio o una figlia che iniziano a sviluppare sintomi schizofrenici o ansiosi in un disperato tentativo di fornire ai genitori una preoccupazione comune, dunque un motivo per restare insieme. Teorie sorpassate: oggi, le madri moderne non hanno certo tempo né voglia di mettere in discussione se stesse o il proprio rapporto coniugale, tanto meno di correre dietro ai propri figli o di portarli a sfogarsi in un parco pubblico: l'ADHD, malattia che a questo punto dell'articolo mi permetto infine di definire francamente sedicente, è giunta come un deus ex machina in soccorso di tutte quelle donne che vorrebbero i figli muti davanti alla TV, efficienti quando ci sono i compiti da fare, immobili sulle sedie perché non macchino il vestito o non rompano qualcosa. Ma quando mai, da che mondo è mondo, i bambini hanno avuto voglia di stare attenti a scuola?
Poiché l'ADHD viene curata con i derivati del metilfenidato, la cui più celebre applicazione è il farmaco Ritalin (sostanza stimolante con un giro d'affari da 2 miliardi di dollari l'anno nei soli Stati Uniti, classificata ad esempio dal governo britannico come “droga di classe A”, al pari di cocaina e speed), sarei curiosa di vedere, tra qualche lustro, quanti bambini trattati a otto anni con gli psicofarmaci diventeranno poi dei premi Nobel, e quanti invece continueranno sulla strada dell'abuso di medicinali, o più avanti di alcool e di stupefacenti, per la gioia delle loro mamme (le quali, magari, sono a loro volta ferventi consumatrici di ansiolitici e affini: ricordate la celebre battuta di Mark Renton in “Trainspotting”, quando rubava il valium dal mobiletto dal bagno? “Anche mia madre, nella sua forma domestica e socialmente accettata, è una tossicodipendente”).
Non esistono ancora studi sicuri sui soggetti in esame, a tutt'oggi troppo giovani, ma già nel 2000 un articolo dell'“Observer” intitolava: “Il Ritalin ha reso mio figlio un demone”, e così proseguiva con lo sfogo di una madre sconvolta: “sembrava uscito dall''Esorcista' (…). Ha pugnalato suo fratello con delle forbici in un piede. Certe volte avevo paura ad andare a dormire. (…) Chiedeva le pillole ed era decisamente dipendente. Trovo incredibile che diano una droga di classe A a dei bambini di cinque anni”. Se prestiamo attenzione alle parole della donna e sotto suo suggerimento spulciamo addirittura nei classici della filmografia dell'orrore, scopriamo che, appunto, nel sempre bello “L'esorcista” di William Friedkin (1973) alla sventurata Regan veniva già somministrato il Ritalin prima che qualsiasi sintomo “demoniaco” avesse avuto modo di manifestarsi: la ragazzina ha problemi in matematica e muove un piattino su una tavola giocando alle sedute spiritiche, e tanto basta perché venga sottoposta ad esami clinici e trattamenti farmacologici; è solo a questo punto, si badi bene, che la poveretta inizia a dare di matto. In pochi ricordano questo dettaglio, ma si tratta invece di una magistrale omissione significativa: vi è una vistosa carenza di nesso logico tra la protagonista che vediamo appena una scena prima (un'adolescente normalissima in un contesto familiare malato) e la Regan furente che reagisce con violenza alle attenzioni dei medici. Con questa scelta sinottica Friedkin condusse con grande acume una sottilissima critica sociale alla psichiatria facile, che passò inosservata, all'epoca, da un pubblico impressionato da vomiti verdi ed effetti speciali mai visti; ma che lascia allibito lo spettatore moderno, conscio che dal 2007, anche in Italia, il Ritalin può essere legalmente prescritto ai propri figli in età scolare.
Concludo con una considerazione, riallacciandomi all'incipit di questo articolo: se l'ADHD colpisce solo i bambini, io non ne dovrei soffrire; ma chi crede all'esistenza della patologia sostiene che i ragazzi non curati tendano poi a ripresentare i sintomi anche da adulti. Eppure ricordo, da piccola, di essere stata una bimba tranquilla: non correvo, non mi agitavo, studiavo, leggevo molto. È piuttosto da qualche anno a questa parte che mi saltano i nervi ogni volta che squilla il cellulare; che vorrei frantumare lo schermo ogni volta che il computer si blocca; che corro alla finestra ogni volta che sento passare un elicottero, chiedendomi se sia militare e cosa ci faccia sopra la mia testa; che mi distraggo quando guido perché i cartelli pubblicitari cambiano forma e colore. Ognuno faccia le sue considerazioni, chiedendosi magari se non sia la modernità stessa, e non i bambini moderni, ad essere deficitaria di qualcosa: silenzio, tranquillità e pace.
Complimenti per lo sconcertante articolo. Pensavo che la droga fosse una “conquista” negativa dell'adolescenza, ma forse,in tempi di frenesia culturale e collettiva anche questo limite appare troppo posticipato. Mi hai fatto tornare in mente “asilo republic”,dove un giovanissimo Vasco Rossi cantava “i bambini dell'asilo stanno facendo casino ci vuole qualcosa per tenerli impegnati ci vuole un dolcino ci vuole uno spino …” Io pensavo scherzasse…
Al di là di Vasco-Vate (su questo io sono sempre d'accordo), in paesi come gli Stati Uniti esiste già una generazione di ragazzi neanche trentenni, trattati con gli psicofarmaci da quando ne avevano dieci o dodici. Non ho le competenze scientifiche per ipotizzare i danni causati da questi trattamenti; sono però convinta che dovrebbero sempre essere le persone adulte a decidere in autonomia se ricorrere a dei farmaci: non dovrebbe essere permesso dalla legge che genitori distratti (o peggio ancora, medici oliati dalle case farmaceutiche) possano assumersi la responsabilità di intervenire in modo così invasivo sulla psiche di ragazzi così giovani. Tanto più che, immagino, saranno soprattuto le classi culturalmente svantaggiate a non avere gli strumenti per decidere liberamente cosa fare, e quindi ad affidarsi più ciecamente al parere di psichiatri invasati.
bellissimo..merita di essere maggiormente diffuso!!!
che potenza di articolo! complimenti davvero.
chi è che al giorno d'oggi non “soffre” di ADHD? vado subito a farmi prescrivere il Ritalin!
Grazie! Finalmente hanno un nome tutte le mie manie e disattenzioni…
ogni tanto quando ascolto certi titoli dei telegiornali o certi commenti nei salotti televisivi mi rendo conto di quanto siamo stati fortunati io ed i miei amici ad avere a che fare sempre con persone prive di questo moralismo perverso. E noi ne abbiamo fatte di s*****ate quando eravamo giovani… davvero tante. Ma si sbaglia, con il tempo si impara, ci si vergogna un pò, se è il caso, e si cresce. Strana generazione quella di questi genitori di adesso…
complimenti Valentina bellissimo articolo!
Egr. Dottoressa Soluri, sono concorde con l'opinione da lei espressa e ho apprezzato l'impostazione del suo articolo. Tuttavia, da amante del settore, mi sento in dovere di aggiungere delle considerazioni professionali a proposito, in quanto la visione della questione rimane parziale e il rischio di riduzionismo, se non di banalità, è alto. é come quando uno studente al primo anno di psicologia prende in mano il suo primo manuale e comincia a identificarsi in ogni pagina..e così si scopre prima depresso, poi ansioso, a volte maniacale e con tratti ossessivi..fino a che approda alle zone di confine…
Il problema della somministrazione dei farmaci (e soprattutto quello sui minorenni) è una grande questione e non è possibile sbrigarlo in poche righe, scaricando la responsabilità sulla psichiatria facile. Allora si potrebbe considerare più facile ancora, negare l'esistenza di sindromi psichiatriche.. Ma in tutto ciò…dove sta il soggetto? Dove va a finire tutta la sua sofferenza? é chiaro a me e sicuramente anche a lei, ma forse non a tutti, che esiste un oltresoglia che impedisce a un essere umano di condurre una vita quanto più possibile conforme alle proprie potenzialità, cioè senza gravi compromissioni cliniche significative. Eppure questa è una realtà esistente e il modo migliore e più reale per assicurarsene, qualora ci siano dei dubbi, non è tanto leggerlo su manuali diagnostici americani o europei, quanto quello di recarsi presso un qualsiasi Dipartimento di Salute Mentale.
Per quanto mi riguarda, personalmente sono d'accordo sul fatto che la nostra società sente il bisogno di classificare e categorizzare e anche di INVENTARE dei sintomi e delle malattie (detto in parole povere)..ora ci sono persino delle fasi naturali dello sviluppo che sono considerate come tali.. Però occorre sempre stare attenti quando si toccano certi argomenti.. ha mai visto un bambino a cui è stato diagnosticato correttamente un ADHD? E non parlo di un bambino semplicemente vivace..ma di un bambino che presenta una sintomatologia che impedisce di relazionarsi con se stesso e con il mondo… Ha presente il suo sguardo? Che cosa le provoca? E siamo sicuri che le sue figure di riferimento siano capaci di sintonizzarsi sul suo sentire e di capire quando è ora di portarlo al parco?
Ripeto, sono concorde con la sua visione e la sua opinione, ma io e lei possiamo certamente permetterci di giocherellare con le dita o di rispondere prima che sia finita una domanda, perchè la nostra capacità cognitiva ci permette di anticipare il senso di quella domanda che ci viene posta. Quando invece le pulsioni sono più forti della razionalità e dell'autocontrollo…beh..siamo su un altro livello..e non possiamo dimenticarlo o fare finta che non esista. Questo è per rispetto alla sofferenza e alla dignità umana. Adulti e bambini.
E soprattutto quando si tratta di bambini, abbiamo l'obbligo di tenere sempre presente la complessità delle situazioni.
Cordiali saluti
Ciao Valentina
questo è un argomento di grande attualità e le questioni che sollevi in questo articolo mi sembrano diverse:
1-Il numero sempre crescente di diagnosi del Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività
2-La bontà di queste diagnosi
3-Le modalità di trattamento delle persone a cui è stato diagnosticato tale disturbo
È vero le diagnosi di questo disturbo crescono, saranno tutte diagnosi valide? O i professionisti del settore sono tutti incompetenti?? Qualche giorno fa De Palma – il Presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi – in un'audizione presso la Comm. Affari Sociali della Camera ha evidenziato il lavoro e le competenze degli Psicologi che si occupano di disturbi dell'apprendimento e disturbi emotivi e ha sostenuto la piena responsabilizzazione dei genitori, ponendosi come obiettivo la tutela dei bambini da un uso inappropriato degli psicofarmaci.
Certo di eccezioni ce ne sono (l'anno scorso si leggeva nei quotidiani che alcuni genitori bolognesi portavano i loro figli nel veneziano dove ricevevano prescrizioni di psicofarmaci senza problemi, e che la Pavan si era spacciata per psicologa e poi non risultava inscritta a nessun ordine regionale) e bisogna prendere provvedimenti, ma questo non ci autorizza a semplificare le cose in questo modo. I bambini con una diagnosi da ADHD presentano dei sintomi oltre-soglia!!
Qualcuno, che aveva studiato tanto e capito molto, diceva che l'unica vera soluzione è la prevenzione!
Chiediamoci perché tanti bambini “non riescono a stare fermi ed evitano il contatto con le cose del mondo”, non condanniamo chi lavora per aiutarli, ma guardiamo sempre in modo critico per provare a fare meglio!
Ciao a tutti e grazie dei numerosi commenti: la grande attenzione mostrata nei confronti di questo articolo ci ha convinti a dedicare presto, entro la fine dell'anno, un nuovo spazio al tema della somministrazione degli psicofarmaci ai bambini. Nel prossimo pezzo, quindi, cercherò di rispondere ai numerosi e utili spunti di riflessione ricevuti, che non avrebbero potuto essere trattati in modo approfondito in questa sede, e anche di raccogliere qualche testimonianza da parte di famiglie e addetti ai lavori. Seguite l'Arengo o iscrivetevi alla nostra newsletter per ricevere tutti gli aggiornamenti!
Ne approfitto anche per comunicare ai lettori che, dopo lunghe considerazioni deontologiche, e pur rivendicando il nostro diritto-dovere di raccontare una storia, a nostro parere molto grave, con uno stile volutamente provocatorio, la redazione e l'autrice hanno deciso di rimuovere dall'articolo il nome della persona di cui si è parlato, sostituendolo con la sigla M.P. Tale scelta è stata motivata dall'esigenza di proteggere non tanto la signora P. (la cui vicenda è stata peraltro pubblicata sui maggiori quotidiani locali), quanto suo figlio al quale, pure, nell'articolo si è dovuto necessariamente fare riferimento.
Ciao Valentina,
il mio post non voleva essere solo uno stimolo per trattare l'argomento in modo più completo, ma l'espressione di un punto di vista, per alcuni aspetti, diametralmente opposto al tuo. Se ho compreso bene il tuo pensiero, mi sembra che con quest'articolo, tu voglia in qualche modo negare l'esistenza della psicopatologia. La psicopatologia esiste, e in questo mondo dilaga!! La negazione di un problema non aiuta nessuno. Poi le “etichette” che vengono utilizzate per descrivere queste difficoltà sono un altro discorso. Altro discorso ancora sono le modalità d'intervento.
In ogni caso passerò per gli aggiornamenti.