La visio aesthetica di Tommaso D'Aquino
Nella scolastica, e in San Tommaso D'Aquino che della scolastica fu il maggior interprete, il Bello è innanzi tutto un trascendentale, laddove con tale accezione si intende un attributo dell'ens. Le proprietà trascendentali nulla aggiungono e nulla tolgono all'essere, semplicemente sono dei coestensivi dell'essere stesso, come una sorta di diversi angoli visuali, attraverso i quali può essere contemplato. Il problema dei trascendentali, già riscontrabile nella Metafisica di Aristotele, è un problema di carattere metafisico, nella misura in cui essendo un coestensivo dell'essere, diventa, secondo la concezione scolastica, coestensivo di Dio, essere per eccellenza, essere perfettissimo. Tale concezione della bellezza, inscindibilmente legata alla divinità, può risultare di difficile comprensione per noi moderni ma in una cultura come quella medievale, in cui ogni realtà è simbolo, allegoria, disvelamento di una realtà superiore, in cui la natura è teofania, le relazioni tra Bello e Trascendente sono a fondamento dell'intera dottrina estetica.
San Tommaso attribuisce al Bello tre criteri fondamentali: integritas, consonantia e claritas, che rappresentano nel loro insieme i criteri formali che ci permettono di definire e identificare la bellezza di un'opera, essi si implicano l'un l'altro, e la considerazione di uno di loro non può mai prescindere dalla realtà degli altri due. L'integritas, è l'adeguamento dell'oggetto a sé, o meglio a ciò che deve essere nel rispetto delle esigenze della propria forma, è perfectio, nella misura in cui è perfetta realizzazione di ciò che la cosa doveva essere, adeguandosi così all'idea che di essa preesiste in mente Dei. Perché un oggetto artistico possieda integritas, è dunque necessario che esista in esso un perfetto equilibrio, o meglio, che di nulla manchi e in nulla ecceda, riflettendo in tal senso quel fine utilitaristico che pervade l'intera arte medievale. Il concetto estetico di proportio riscontrabile nell'estetica tomista, rappresenta invece il concetto maggiormente diffuso tanto nell'età antica, quanto nell'età medievale. Da Pitagora a Policleto, dai rigidi canoni matematici e musicali a quelli figurativi, il concetto di proportio è termine polivalente che nel corso dei secoli finisce col sfiorare tutte le discipline artistiche, quale simbolo di perfezione e armonia che dal trascendente si riflette nell'immanente. Con il variare delle epoche e della sensibilità estetica dei fruitori, certo variano i canoni della proportio, i rapporti matematici che la reggono, ma mai la sua fondamentale importanza nella definizione del Bello. Per l'Aquinate, la proportio è principalmente “la convenienza della materia alla forma”[1], ovvero la modalità con cui “la materia si sottomette alle esigenze della forma[...] sino a comporsi in una sostanza individua e autonoma”[2]. Il problema, tuttavia, non è solo quello del rapporto delle parti tra loro, e delle parti col tutto, ma è anche il problema dell'adeguamento, o meglio della convenientia, dell'oggetto alla sua funzione, in relazione a quella finalità che le è propria.
La claritas, infine, si riallaccia alla consonantia, o meglio costituisce un'altra species di proportio, nella misura in cui rappresenta il mezzo, attraverso il quale, la bellezza di una cosa si manifesta al soggetto che la percepisce. Difatti, se pur la cosa è ontologicamente predisposta alla bellezza, è necessario che per essere riconosciuta tale, venga focalizzata dal soggetto che la percepisce. Perché ciò avvenga si deve necessariamente realizzare una nuova consonantia, una nuova armonia fra soggetto e oggetto, e questa è appunto la consonantia che si verifica per mezzo della claritas.
In Tommaso D'Aquino dunque, conseguentemente a quanto fino ad ora è stato detto, la bellezza di una cosa dipende dalla perfetta adeguazione della sua materia alla forma, che si riflette, tanto nell'armonia delle sue parti, quanto nell'armonia delle parti con il tutto. Un oggetto è bello quando nulla manca, e nulla viene aggiunto a ciò che gli concerne, e dal punto di vista puramente formale, rivela la perfezione che deriva dal possedimento di integritas e proportio attraverso la claritas, che si fa strumento di conoscenza.
La concezione estetica dell'Aquinate non fu solo base e fondamento della più ampia estetica scolastica, ma continuò ad influenzare i secoli successivi a tal punto che tracce di essa sono ancora riscontrabili in scrittori del '900. Quasi a dimostrazione del fatto, che nonostante le imprescindibili implicazioni metafisiche il Dottore Angelico non smise di far sentire l'eco delle sue parole tanto nella teoria dell'arte, quanto nella letteratura, poiché, come qualcuno ebbe a ricordare, anche Tommaso era un poeta.
[1] Umberto Eco, Il problema estetico in Tommaso D'Aquino, Bompiani, Milano, 1970, p. 113.
[2] ibidem.
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