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Scritto da nel Numero 18 - 1 Giugno 2007, Scienza | 0 commenti

Anfibi

C'è chi la scienza la fa, c'è chi la scienza la insegna, c'è anche chi la finanzia. Esiste chi la comunica? La definizione di un ruolo all'interno di una società civile è legata all'identificazione di pratiche e metodologie che traggono pieno riconoscimento dalle esperienze accumulate sul campo lungo un arco di tempo imprecisato. In altre parole la rivendicazione di un ruolo passa attraverso l'affermazione condivisa e riconosciuta di una professionalità. E infatti lo scienziato sperimenta, deduce, costruisce modelli; l'insegnante fornisce ai più giovani un metodo di studio e gli strumenti base per proseguire in esso; gli amministratori creano, o almeno dovrebbero creare, le condizioni per sostenere la ricerca. Ovviamente la diversificazione degli ambiti non è mai così netta ma ai fini di questo ragionamento supponiamo per il momento che si possano porre dei paletti abbastanza precisi. Detto questo vale la pena davvero di domandarsi chi sia il comunicatore della scienza e di conseguenza cosa faccia, quali siano i suoi interlocutori e il panorama nel quale si muove.

La problematica relativa alla comunicazione tra comunità scientifica e società civile costituisce uno degli obiettivi primari da perseguire per le cosiddette democrazie moderne. Questo perché l'insieme delle attività umane che classicamente possono definirsi scienza affondano le proprie radici nella vita quotidiana della gente così in profondità, che il risultato scientifico oggettivo è stato ammantato di implicazioni etiche, economiche, sociali, e sempre meno di rado la sua pubblica accettabilità viene messa in discussione. Se da una parte infatti la società dà per scontati i contributi della medicina, dell'ingegneria e della tecnologia nel miglioramento delle condizioni di vita, al tempo stesso, proprio a causa della complessità delle connessioni in gioco, l'immagine classica di una scienza portatrice indiscussa di ricchezza e benessere socioeconomico è in forte crisi. Soprattutto per quanto concerne la salute e la tutela ambientale, la convinzione dell'effettiva esistenza di rischi associati allo sviluppo industriale tecnologicamente avanzato è divenuta un vero e proprio dato culturale largamente diffuso. Nel momento in cui la classe politica prende atto di non poter rinunciare al progresso scientifico inteso in senso lato, deve lavorare di conseguenza per spazzare dall'orizzonte queste nubi minacciose. Obiettivo quello di stabilire un'attitudine positiva del pubblico nei confronti della scienza.

Per queste ragioni negli ultimi anni, in modo abbastanza disorganico almeno nel nostro Paese, sono fioriti festival della scienza, giornate open day e una sempre maggiore attenzione a livello mediatico è stata riservata a temi scientifici di rilevanza globale. Questo sottobosco di attività è stato di vitale importanza per almeno due motivi. In primo luogo, esso ha contribuito a far entrare nelle università il mondo della comunicazione e, almeno in alcuni casi, convinto la comunità scientifica circa la necessità di comunicare. Che queste attività si riducano spesso a pura autocelebrazione del proprio settore o del proprio istituto al momento non è importante e in ogni caso fa parte dei giochi. In secondo luogo, ed è questo il punto che ci sta più a cuore, la consapevolezza dell'importanza della comunicazione ha favorito la nascita non solo di una classe di giornalisti che si occupino di scienza, ma anche di professionisti che individuino aree di possibile cambiamento delle attività attuali, che sviluppino vere e proprie strategie di comunicazione e studino con metodi scientifici il pubblico.

L'identikit del comunicatore dunque sembrerebbe essere pronto. Egli è una figura ambivalente, ha a disposizione un background culturale multidisciplinare e ampio raggio d'azione: può essere uno scienziato, un giornalista, uno studioso che si occupa di comunicazione in ambito scientifico. Questa figura, tuttavia, sembra essere ancora solamente tratteggiata, visibile soltanto controluce, quasi accessoria: in fondo uno scienziato la scienza deve farla, un giornalista che si occupa di scienza resta pur sempre un giornalista e per lo studioso che si occupa di sociologia o comunicazione la scienza può essere uno dei tanti ambiti di ricerca. Viene quasi da chiedersi se non sia sufficiente il “materiale” umano e professionale che abbiamo a disposizione, e se addirittura sia necessario creare dal nulla una figura che sul proprio biglietto da visita rechi scritto Comunicatore scientifico o affini.

Poi però vicende come quelle di Scanzano Ionico, la Tav e il referendum sulla fecondazione assistita dimostrano che la comunicazione è un vero e proprio nervo scoperto della nostra società. Essa nasconde qualcosa di molto più profondo e viscerale del semplice coinvolgimento del pubblico su temi legati alla scienza. Sembrava essere un processo unidirezionale e invece si scopre essere trasversale: gli interlocatori si moltiplicano e con loro i flussi della comunicazione stessa.

Assodata l'esistenza di un'arena nella quale convivono diversi portatori di interesse, abbiamo a disposizione un moderatore che gestisca e veicoli il loro confronto? Il problema è sostanziale. Strutturale. Se esistono delle criticità che iniziano a fare capolino nelle agende dei politici, probabilmente occorre pianificare anche la strategia volta a scioglierle. In altre parole se una problematica si istituzionalizza, è giusto istituzionalizzare anche una classe di professionisti che lavori per risolverla. Perché ciò sia possibile, è necessario l'investimento di risorse pubbliche: non si può affidare al solo privato un ruolo fondamentale di garanzia democratica.

Un tavolo che ospiti il confronto fra le diverse anime della società che producono, finanziano e comunicano la ricerca scientifica oggi non esiste. E sbagliato sarebbe pensare di costruirne uno mutuandolo da qualcosa di già esistente. Occorre creare ex novo uno spazio di confronto che non mortifichi le rispettive professionalità in gioco e non ricorra sistematicamente a forme decisionali elitarie o monolitiche.

Il nostro comunicatore è ancora un essere “anfibio” che vive nel mondo della comunicazione e della ricerca. Il suo operato quotidiano è teso a favorire l'apertura di nuovi canali di dialogo fra scienza e società che facilitino la nascita di una cittadinanza scientifica su cui possa sorgere una società della conoscenza che aspira ad essere equa, aperta e democratica. Egli crede che i tempi siano maturi: sta soltanto aspettando una mano che lo aiuti ad emergere.

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