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Scritto da nel Il Libro del Viaggiatore, Numero 15 - 16 Aprile 2007 | 0 commenti

Gli anni dell'”Observer” – La raccolta inedita degli articoli e le recensioni (1942-49)

Quella che, davvero, si può definire una buona notizia: a 56 anni dalla morte, Eric Arthur Blair, scrittore e giornalista impegnato, in arte George Orwell, torna in libreria. I due capolavori che Orwell consegnò alla letteratura prima della precoce morte per tubercolosi, La fattoria degli animali (1945) e 1984 (1949), sono passati alla storia. Probabilmente, del saggista e romanziere inglese meno nota è la brillante carriera di cronista e recensore, realizzatasi presso diversi autorevoli quotidiani e periodici come The Herald Tribune e The Observer. Non è un azzardo voler convenire che, attraverso uno stile elegante ma conciso nel parlare di politica e di libri e un'apprezzabile attitudine a rispettare sia il lettore che l'autore, la parabola giornalistica abbia caratterizzato lo stile di Orwell ancor più, se possibile, della produzione prettamente letteraria. Gli anni dell'«Observer» è una raccolta inedita di cento brani scritti per il settimanale londinese tra il 1942 e il 1949, che fin dalle prime pagine conferma la contigua relazione tra vita vissuta, militanza politica e convinzioni letterarie del suo autore. Nella prima parte Orwell rievoca l'impegno nella guerra civile spagnola e ne denuncia in merito la viltà delle grandi potenze, come corrispondente dal fronte racconta il collasso della Germania nazista, con rigore morale narra le drammatiche vicende del colonialismo britannico in India e in Birmania, con dolorosa consapevolezza descrive le condizioni degradanti del proletariato britannico. A rivelarsi irresistibile, tuttavia, è la seconda parte del libro, quella in cui Orwell, servendosi di un senso dell'umorismo troppo spesso poco e male apprezzato dai suoi lettori e colleghi di allora, recensisce moltissimi libri; acuto il commento sulle opere di Conrad (“creava personaggi in cui la capacità di vivere l'avventura e la capacità di riflettere su di essa coesistevano in un modo che è impossibile nella vita reale”), illuminante la definizione riservata al credo di Tolstoj (“anarchismo cristiano”), aspro il giudizio su una biografia di Baudelaire (“un libro scritto con intenti propagandistici, un vano tentativo di dare a Baudelaire l'immagine del buon cattolico”). Tanto vale non nascondersi: questi “scritti minori” orwelliani risultano, (non solo) per sviluppare il dovuto approfondimento a una delle menti più lucide del Novecento, un'opera fondamentale. E, soprattutto, vivamente consigliata ai quei tanti tra i nostri critici che proprio faticano a perdere il cattivo gusto dei particolarismi fini a se stessi e dei giudizi roboanti.

George Orwell – Baldini Castoldi Dalai – 2006 – pagg. 280

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