L'eredità del 1977
Quest'anno ricorre il trentesimo anniversario di uno dei periodi più bui per il nostro paese: 1977, simbolo degli anni del terrorismo.
Gli anni delle P38, del confronto fisico, dell'intolleranza e del sangue. Anni di svolta per la sinistra italiana impegnata a combattere contro un nemico nuovo, cresciuto al suo interno e con il quale è stato difficile fare i conti.
Già da un po' di tempo la scena politica e sociale era stata sconvolta dal terrorismo, ma in molti facevano finta di nulla, non capendo l'enormità del fenomeno. Troppe furono le frasi infelici coniate per descrivere una realtà, quella degli anni di piombo, che aveva evidenziato l'inadeguatezza di analisi e prospettiva di un'intera classe dirigente. Dapprima si parlò di provocatori fascisti, poi – quando fu indiscutibile l'ispirazione comunista che accompagnava l'elaborazione degli appartenenti ai più importanti gruppi della exstrasinistra – di “compagni che sbagliano” fino ad arrivare alla famosa frase “nè con lo Stato nè con le BR”. Un movimento violento che, in un crescendo drammatico di terrore ed odio, esplose – nel '77 appunto – in un vortice di schegge impazzite animate solo da rancore e desiderio di vendetta. Il nemico veniva categorizzato, schedato e distrutto umanamente prima ancora di essere colpito fisicamente.
Non fu facile il lavoro di quei pochi, anche all'interno del PCI e del PSI, che si impegnarono a lottare contro questo mostro, cercando di difendere lo Stato, e le sue istituzioni in primis, dall'indifferenza colpevole di chi non voleva vedere il terrorismo come un problema collettivo, ma lo riteneva solo una devianza temporanea dovuta ad un “regime statale” ingiusto. Probabilmente l'evento che fece aprire gli occhi ai più fu l'omicidio dell'operaio comunista Guido Rossa, ucciso il 24 gennaio 1979 alle 6:30 a Genova mentre si recava al lavoro. La sua colpa? Aver denunciato un “postino” delle BR. Rossa fu probabilmente uno dei pochi a comprendere fin da subito la bomba ad orologeria rappresentata da quei gruppi pseudo-politici che ragionavano con le armi.
A trent'anni di distanza possiamo dire che il terrorismo armato forse è stato sconfitto, ma la cultura terroristica, il disprezzo per l'avversario, l'incapacità di dialogare con chi la pensa diversamente, quella sicuramente no, non è stato sconfitta. Anzi tutt'oggi continua ad essere il sistema sul quale si basa il dibattito politico. Oggi come allora si cerca di “distruggere” una persona quando non si è in grado di confrontarsi con le sue idee ritenute scomode. Purtroppo anche in tempi recenti si è arrivati all'eliminazione fisica di studiosi considerati “nemici del proletariato”.
Si potrà ragionare ancora molto sulle cause di quel movimento e su quello che ha lasciato – oltre alle decine di morti – quella stagione di confronti e scontri. Bisognerà farlo, con animo molto critico, per migliorare i rapporti politici, sociali ed economici dell'Italia. Anche da qui, infatti, passa la via per la crescita. Da troppi anni ormai questo gioco al massacro, che vede protagonista una politica sempre più debole e delegittimata agli occhi dell'opinione pubblica, ha contribuito a velocizzare il declino ed oggi rallenta la ripresa di un Paese, che avrebbe – con il contributo collegiale di tutti – le carte in regola per approdare verso lidi migliori rispetto alle acque tempestose in cui naviga oggi. Forse si dovrebbe trovare solo il coraggio di liberarsi dall'asfissiante abbraccio di alcuni esponenti politico-intellettuale formatisi in quella stagione di scontro e incapaci di considerare il bene comune più importante degl'interessi di parte.
In quest'ottica la città di Bologna può svolgere il proprio ruolo nazionale e ad esso non può sottrarsi.