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Scritto da nel Numero 11 - 16 Febbraio 2007, Politica | 0 commenti

Gli stadi riaprono ma gli italiani no

Chiudere il campionato, riga, tutti a casa e teloni di plastica sui campi da gioco. Niente tutto il calcio minuto per minuto, niente post-partita, moviole dichiarazioni calcio-mercato, niente pagelle sulla gazzetta e basta con il fantacalcio.

Come successe nell'N.B.A. quando i problemi contrattuali portarono alla determinazione dei cosiddetti salary cap sugli stipendi dei professionisti della pallacanestro americana.

Come fece la signora dal pugno di ferro Margaret Tatcher quando, dopo la tragedia di Hysel, ritirò tutte le squadre inglesi dalle competizioni europee[1].

In Italia se ne è solo parlato, ma non è successo e forse non succederà mai.

Fermare il campionato di calcio? Come chiedere agli inglesi di abolire l'ora del the.

Il ruolo del calcio in Italia va ben al di là dello sport, è sociale, economico, è addirittura politico; in questo (e forse non solo) siamo molto vicini ai lontani cugini sudamericani.

Ma ci pensate cosa succederebbe se avessero davvero bloccato il campionato?

Crisi di astinenza, gente che sragiona, che sceglie volontariamente l'esilio. Chi si chiederebbe se una vita così, senza più le magie del pupone, valesse la pena di essere vissuta.

Scene di violenze domestiche aumenterebbero a dismisura. Chi si annega nell'alcol rifiutandosi di credere che sia potuto succedere.

E poi gli interisti. Eh già! Perché se il campionato lo chiudessero per davvero, l' Inter neanche questo anno ce la farebbe ad aggiudicarselo quel benedetto scudetto. Sai che risate!!!

Se davvero il campionato fosse stato rinviato ad oltranza, allora sì che si sarebbe rischiato di vedere l'Italia degenerare nella violenza. Gli ultras di tutta Italia uniti nella sommossa popolare più memorabile dai tempi di Masaniello.

Se oggi in Italia dovesse mai esplodere una rivoluzione, allora quella sarebbe fatta in nome del calcio. Non più per ideali di libertà ed uguaglianza, sicuramente non in nome di qualche ideologia politica, magari in nome della patata. Ecco, magari per quella anche anche, nell' estremo caso in cui la abolissero, come nell'incubo di Remo Remotti.

Nel caso inglese la politica mandò un segnale di legalità molto chiaro. In Italia invece non si è scelta la linea autoritaria dal polso duro e forse, in questi momenti di tensione, a voler alzare la posta in gioco c'è più da perderci che da guadagnarci.

La decisone finale è stata quella di chiudere gli stadi che non sono a norma ma senza fermare il campionato. Si e' arrivati al paradosso, uno spettacolo nato per il pubblico, ma senza il pubblico.

Una decisione che, a mio avviso, sembra essere più vicina alle dichiarazioni di Matarrese che non ai commenti di sdegno che ne fecero seguito.

Ma rispolveriamole un attimo quelle sconcertanti dichiarazioni fatte a caldo per radio Capital dopo le violenze di Catania:

“Lo spettacolo deve continuare (…) questa è un'industria tra le più importanti d'Italia, un'industria che paga i suoi prezzi”.

Le critiche non sono tardate ad arrivare; i personaggi del mondo dello sport e della politica si sono affrettati a mostrare la loro indignazione di fronte alle affermazioni di un cinico che conosce il prezzo di tutto ma il valore di niente, e molti ne hanno richiesto le dimissioni. Perché non ci dovrebbero essere interessi economici tanto potenti da tutelare quando lo sport più amato dagli italiani degenera prima in una associazione a delinquere dove tutto è corrotto e poi in tragedia con la morte di Raciti a Catania.

E allora hanno deciso di oscurare le partite ai milioni di tifosi d'Italia, condonando solo gli abbonati; sì, quelli a SKY però. Perché alla fin fine le partite si sono giocate lo stesso e gli sponsor, i diritti televisivi, le casse delle società sono nuovamente sani e salvi insieme ai gol della domenica. Che lo spettacolo continui dunque; per i milioni di fedelissimi sparpagliati in tutti i Bar Sport d'Italia, pronti a commentare le scelte dell'allenatore e le azioni più belle della domenica. Quelli che.. “eh no, adesso basta, quando è troppo è troppo, l'abbonamento mica lo rifaccio l'anno prossimo” ma che poi alla fine son sempre lì, sugli spalti al freddo aspettando la sacrosanta partita della domenica, anzi no, del mercoledì sera. Perché oltre al danno c'è la beffa, partita infrasettimanale e pure di sera – che c'è un umido che te lo raccomando – .

Eccoli i tifosi. Loro continuano ad andare allo stadio nonostante tutto, come se niente fosse, come se il calcio di oggi fosse bello come una volta, e intanto esultano, si disperano ed inveiscono, contro l'arbitro, contro Moggi, contro il rigore sulla traversa, contro i gobbi bianco-neri, contro Galliani, contro la mafia del calcio e tutto il sistema corrotto fino ai santi in paradiso. Inveiscono e sperano in un cambiamento. Ma come sperare ancora che questo cambiamento venga dall'alto, dal governo, dalla lega calcio? Dovrebbe sorgere spontaneamente dal basso, come una pianticella, con radici fatte di tifosi disgustati che sanno ancora distinguere il vero sport da una sua messa in scena.

Gli stadi vuoti dovrebbero esserlo per scelta, e non a causa di un decreto governativo.

Questa è la decisione che un popolo che si rispetti prenderebbe davanti ad un tale scempio.

“Gli stadi riaprono ma gli italiani no. Sciopero dei tifosi per salvare il gioco più bello del mondo”. Questa è la notizia che mi piacerebbe leggere sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Ma questo ovviamente è solo un sogno alla Martin Luther King. Forse la realtà è che il governo non ferma il campionato perché gli italiani vogliono che il campionato continui, un po' come Matarrese.


[1] Thatcher set to demand FA ban on games in Europe. The Guardian.

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