Budapest 1956 e la sinistra italiana
Era il 23 ottobre 1956 quando nelle strade di Budapest una manifestazione contro il potere sovietico si trasformò in rivolta di popolo. Migliaia di persone chiedevano più libertà e la possibilità di incidere nella vita del paese. La risposta fu drastica: in due settimane si passò da un governo nazionale maggiormente aperto alle esigenze ed alle istanze della popolazione ungherese (quello in carica guidato da Imre Nagy), al governo filosovietico guidato da Janos Kadar e sostenuto dall'intervento dei carri armati di Mosca che soffocarono la rivolta nel sangue. I leader furono arrestati ed alcuni di loro trovarono la morte negli anni successivi, Nagy fu giustiziato nel giugno del 1958.
La sommossa ungherese creò un terremoto all'interno della sinistra italiana. Da un lato con grosse difficoltà il PSI – contrario all'intervento militare – avviava un processo di ricollocazione internazionale per uscire dall'influenza sovietica; dall'altro il PCI guidato da Togliatti, oltre ad appoggiare e quasi a spingere per un'intervento che fermasse la rivolta, faceva quadrato bloccando qualsiasi discussione e mettendo fuori dal partito tutti coloro che non condividevano la scelta operata dalla segreteria. Addirittura, come è possibile leggere nel bel libro del Professor Federigo Argentieri “Ungheria 1956. La rivoluzione calunniata”, si arrivò a bollare quella rivolta di popolo come una controrivoluzione reazionaria guidata da ambienti borghesi.
In questi mesi, perla ricorrenza del cinquantesimo anniversario, tanto si è già detto su quella stagione a cominciare dalle parole del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, allora membro di quella segreteria che sosteneva l'Unione Sovietica, che ha riconosciuto la giustezza e la lungimiranza delle posizioni del PSI guidato da Pietro Nenni.
Tanto si è detto anche sulla difficoltà da parte del PCI di prendere posizioni differenti, anche “solo” di appoggio critico, per l'ancora forte potere all'interno del partito di quegli uomini che avevano fatto la scissione di Livorno nel 1921 e che nella pancia dell'Unione Sovietica c'erano vissuti durante il ventennio fascista.
Oggi, come alcuni già hanno fatto e tra questi il Senatore Emanuele Macaluso nel libro autobiografico pubblicato nel 2003, possiamo sicuramente sostenere che quella posizione ferma ed indiscutibile non giovò al partito e alla politica tutta. Infatti a mio avviso l'uscita dal partito, per espulsione (molti) o per dimissione (pochissimi), di alcuni importanti esponenti privò il Partito Comunista Italiano di una componente sinceramente riformista e la contrapposizione con il Partito Socialista aprì delle profonde ferite, che – alimentate anche da contrapposizioni future – ha di fatto impedito un riavvicinamento di quelle culture politiche che dopo la caduta del Muro di Berlino, con la fine delle ideologie, avrebbe potuto portare ad un grande partito della sinistra in italia, togliendo argomenti ai nostalgici ed agli speculatori del comunismo e annullando i timori dei ex-socialisti.
L'Arengo del Viaggiatore vi invita il 2 dicembre a Bologna, per discutere in un incontro organizzato dall'Associazione libertàEGUALE sulle ripercussioni di quegli eventi nella politica italiana con il Senatore Macaluso, il Professor Argentieri e il Consigliere di Stato Domenico Cacopardo. La costruzione della nuova casa democratica del centrosinistra non puo' che nascere dalla revisione delle fondamenta sulle quali verrà edificata.