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Scritto da nel Media e Cultura, Numero 4 - 16 Ottobre 2006 | 0 commenti

Report

Vorrei aprire questo breve articolo con un sincero ringraziamento a Milena Gabanelli e ai numerosi collaboratori, che con il loro lavoro rendono possibile la creazione di un programma unico nel desolato panorama dell'informazione televisiva italiana: Report.

La profondità d'inchiesta a cui mira la trasmissione, unita alla maniera rivoluzionaria di fare giornalismo[1] ideata dalla Gabanelli durante gli anni novanta, creano nell'insieme un effetto capace d'indurre lo spettatore ad una riflessione indignata sulla filosofia del “tarallucci e vino”; la stessa che da tempo immemorabile corrompe la nostra penisola.

Le indagini che di volta in volta animano il programma, come ad esempio quelle condotte su Trenitalia, sui finanziamenti ai partiti o sul ponte di Messina, non sono improntante ad un perbenismo di facciata, ma mirano a incidere chirurgicamente la piaga informazione dove il nervo è più scoperto.

Per entrare in sintonia con questi coraggiosi reportage, giova abbandonare l'abitudinario leit movie del giornalismo ossequioso, quello per intenderci, che volendo mettere a proprio agio l'interlocutore finisce per tralasciare le domande disagevoli. In una parola, l'interessante.

L'effetto che può scaturire da un dirompente mix di giornalismo d'assalto e dati incontrovertibili è spesso sconcertante: dinnanzi all'occhio imperturbabile della telecamera, mafiosi in gessato grigio e amorali uomini di potere, tentano invano di celare verità lapalissiane. Parole vuote e difese sull'orlo del non-sense animano la dialettica del nulla, mentre sullo sfondo un fastidioso gracchiare le accompagna: il rumore di unghie che tentano invano di arrampicarsi su pareti prive di appigli.

L'effetto, talvolta comico, che si viene sovente a determinare, non deve trarre in inganno lo spettatore: all'inchiesta su Trenitalia sono seguiti licenziamenti in tronco e minacce di morte.

La differenza di caratura rispetto alla gogna mediatica di cui dispone Striscia la notizia non merita ulteriori approfondimenti: se da un lato i bersagli sono ciarlatani e cartomanti, dall'altro la battaglia per una corretta informazione si scontra con multinazionali, politici in odore di mafia e interessi miliardari.

Le cause intentante contro la trasmissione sono molteplici: si va da quella del On. Sgarbi all'ex ministro Urbani, da Trenitalia( richiesta danni di 26 milioni di euro) all'amministratore delegato di Rfi. Il presidente della regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, e il gruppo Cremonini, coadiuvati da un altro ex ministro, Carlo Giovanardi, pare invece abbiano preferito lamentarsi per il linciaggio mediatico subito, senza tuttavia sporgere denuncia.

Occorrono un coraggio enorme ed una fermezza granitica per creare una trasmissione come Report, le stesse qualità che sembrano filtrare dal curriculum incasellato dalla giornalista con gli occhi chiari. Un ventaglio d'esperienze professionali degno di un Hemingway redivivo, l'ha portata come inviata di guerra in Cecenia, Ex Jugoslavia, Cambogia, Vietnam, Birmania, Sudafrica, Territori Occupati, Mozambico e Somalia, solo per elencare alcuni dei paesi caldi dove ha lavorato.

Da quando si occupa dei poteri forti di casa nostra, a chi le domanda se la paura sia un sentimento che conosce, la Gabanelli risponde «Mai per le cause giudiziarie. Invece, lo confesso, certe lettere anonime piene di minacce fanno paura. E certe volte ti viene la voglia di piantarla con 'sto lavoro. Ma solo certe volte».[2]

Se romanticamente la caratura di un personaggio, pubblico o privato, è in una certa misura proporzionale al potere dei nemici che coraggiosamente ha saputo farsi nel corso della sua esistenza, l'ideatrice di Report non è seconda a nessuno. E' per questo motivo che nonostante risolutezza e bravura non siano qualità abbondantemente profuse nella nostra epoca, è comunque doveroso riconoscerle e saperle apprezzare quando raramente si manifestino.


[1] Nel 1991 introduce in Italia il videogiornalismo: abbandona la troupe e inizia a lavorare da sola con la sua videocamera. Teorizza il metodo e lo insegna nelle scuole di giornalismo: come dice lei stessa: “Videogiornalismo indica un metodo, cioè quando il giornalista è anche colui che fa le riprese. La differenza è di conseguenza nel linguaggio: più diretto, la forma più imprecisa, gli intervistati che guardano in camera e quindi il telespettatore, maggiore quantità di situazioni.”Da Telegiornaliste.it

[2] Dagospia 26 Aprile 2006

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