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Scritto da nel Numero 3 - 1 Ottobre 2006, Scienza | 0 commenti

Eutanasia: anche in Italia cominciamo a parlarne

“L'eutanasia è e resta un percorso di morte.” Si è espresso così il cardinale Javier Lozano Barragan, ministro della Salute vaticano, ribadendo che la Chiesa “è sempre per la vita” e, dunque, contro ogni ipotesi di dolce morte sia attiva che passiva. Questa dunque la risposta del Vaticano a fronte dell'appello rivolto al Capo dello Stato da Piergiorgio Welby, copresidente dell'Associazione Luca Coscioni, da tempo malato terminale perchè colpito da distrofia muscolare.

La sua richiesta è di una semplicità disarmante: “quando un malato terminale decide di rinunciare agli affetti, ai ricordi, alle amicizie, alla vita e chiede di mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente 'biologica', io credo che questa sua volontà debba essere rispettata ed accolta con quella pietas che rappresenta la forza e la coerenza del pensiero laico.”

In queste parole sono racchiusi temi di scottante attualità come la definizione di vita e di coscienza individuali, della proprietà di queste due dimensioni umane, di accanimento terapeutico, di libertà. Tuttavia, esprimere giudizi su temi che ruotano attorno alla vita o alla morte, è sempre più difficile o troppo scontato. Da una parte, la complessità delle variabili in gioco, dall'altra, la resistenza dei valori tradizionalmente costituiti impediscono un confronto sereno e impongono una pausa di riflessione.

Welby non è una persona ingenua e sa benissimo che, da solo, Giorgio Napolitano non può nulla, se non sollecitare la necessità di un dibattito parlamentare. Ed è in fondo proprio questa l'eredita che sembra intravedersi dietro l'angolo: la nascita di un confronto che non sia più soltanto dominio privato di giuristi e bioeticisti, ma che in un certo senso si istituzionalizzi, diventando patrimonio della collettività. E in questa direzione, oseremo dire quasi sorprendentemente, sembrano procedere anche le parole del cardinale Barragan, quando questi afferma che “spetta ai parlamentari cattolici essere coerenti ed esprimere il pensiero cattolico dentro i Parlamenti, secondo le regole e le procedure democratiche.” Sebbene non sfugga a nessuno la strizzata d'occhio ai cattolici che siedono a Montecitorio, questo atteggiamento, confrontato con la completa chiusura che il Vaticano ha mostrato appena un anno fa in occasione del referendum sulle staminali, rappresenta, a suo modo, una novità. Nel senso che si ravvisa chiaramente nel parlamento il luogo deputato alla discussione di tematiche di questo tipo.

Questo, infatti, è quello che sta accadendo in questi giorni nella Commissione Sanità del Senato. Sul tavolo attorno al quale ruota il dibattito, tuttavia, non si discute soltanto di eutanasia, e le proposte di legge riguardano soprattutto il cosiddetto testamento biologico, uno strumento ancora sconosciuto nel nostro Paese, per il quale in Francia, Spagna, o Danimarca, ad esempio, esistono normative molto precise che non comprendono necessariamente alcuna indicazione sull'eutanasia. Dunque bisogna fare molta attenzione a non fare di tutta un'erba un fascio, specialmente ragionando di temi come questo , in cui la diversificazione è forse l'unico valore universalmente riconosciuto.

E proprio su questi temi è intervenuto, nella puntata del 27 settembre della trasmissione radiofonica Radio3Scienza, Demetrio Neri, docente di bioetica dell'Università di Messina. “Chi dice che il testamento biologico è una via obliqua per introdurre l'eutanasia sbaglia fortissimamente”, sostiene il prof. Demetrio Neri, “perchè altri sono gli elementi critici da affrontare quando si parla di testamento biologico.” Uno di essi è sicuramente il rapporto con il fiduciario, ovvero la persona alla quale affidiamo il compito di dare voce ai nostri desideri quando non siamo più in grado di farlo. “Quella del fiduciario”, spiega Neri, “è una figura chiave, perché risponde alle obiezioni, che spesso sono entrate nel dibattito, circa l'astrattezza delle disposizioni date da un individuo quando questi è capace di intendere e di volere. Questo significa che il mio fiduciario entrerà in gioco soltanto quando io non sarò più in grado di discernere”, prosegue il bioeticista siciliano, “e sarà la persona deputata ad interpretare le direttive che potrebbero apparire poco chiare, proprio perché è una persona che mi conosce, e conosce i valori con i quali ho informato la mia vita.”

Altro nodo centrale è rappresentato dal rapporto col medico curante. Se è vero, infatti, che siamo in grado di scegliere il nostro fiduciario, lo stesso non si può dire per quanto riguarda le persone che troveremo in ospedale, delle quali, molto spesso, ignoriamo l'orientamento etico. “E' chiaro che al medico spetterà un compito davvero complesso”, sottolinea Neri, “e il dialogo con il fiduciario sarà di importanza centrale; in Danimarca, inoltre, i medici possono accedere per via telematica ad un registro nazionale dei testamenti biologici, dove apprendere le volontà dichiarate precedentemente dal malato. Il ruolo del medico”, conclude Neri, “sarà tutt'altro che sminuito, cosa che in molti hanno affermato, ed egli dovrà agire in scienza e coscienza.” Per valutare, si potrebbe aggiungere, quali siano i limiti oltre i quali la scienza perde la sua prima finalità: migliorare la vita dell'uomo.

E le parole del ministro dell'Università e Ricerca, Fabio Mussi, invitano a riflettere proprio su questo punto: “Siamo continuamente alle prese con problemi creati dalla tecnica, non dalla natura”, dice in un'intervista rilasciata a Repubblica, “la tecnica consente di salvare un'enorme quantità di vite che non avevano speranza; la tecnica consente di prolungare il dolore oltre ogni immaginazione. L'interrogativo sul limite, su quanto è nel potere della società e quanto nelle mani della persona, è ineludibile. Evitiamo, dunque, crociate, ma affrontiamo il tema.”

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