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Scritto da nel Energia e Ambiente, Numero 0 - Estate 2006 | 0 commenti

Quattro conti sul veicolo a idrogeno

Confesso di trovarmi spesso in bilico tra la fiduciosa visione del futuro “progressista”, economicamente prospero e politicamente libero che l'investimento in intelligenza rappresentato da Scienza e Tecnica promette, e la pessimistica visione del futuro “catastrofico”, quale viene proposta oggi da tanti.

Questi dubbi dell'età moderna mi hanno suggerito di dedicare qualche calcolo a uno dei tanti temi a sfondo ecologico oggi dibattuti, cioè alla cosiddetta “economia dell'idrogeno”.

In linea di principio, è indubbiamente affascinante, visto che la combustione dell'idrogeno produce solo acqua: e tutti abbiamo visto in TV il giornalista che beve il bicchier d'acqua uscito dal tubo di scarico del lucente prototipo di autovettura all'idrogeno.

Assai più problematica in linea pratica. Trascuriamo pure il fatto (che, con buona volontà, si può definire contingente) che l'idrogeno non gode delle importanti proprietà possedute dai combustibili fossili, cioè di essere liquidi (o eventualmente solidi) a pressione e temperatura ambiente, e dotati di buona densità, ma è, al contrario, il gas più leggero, cioè meno “compattabile”, dell'Universo.

Con le bombole a 200 bar, o con i serbatoi a -200°C, oppure con l'idrogeno “bloccato” negli idruri, diciamo che il problema si può risolvere.

Il vero problema è che l'idrogeno, a differenza dei combustibili fossili, pur essendo abbondantissimo in natura, deve essere prodotto artificialmente, spendendo molta più energia di quella che restituirà.

Un primo importante metodo di produzione dell'idrogeno si ha dal “reforming” degli idrocarburi, sia in impianti centralizzati, sia in “reformer” portatili sul veicolo. Ma, ciò facendo, si consumano combustibili fossili e si produce anidride carbonica, cioè il principale responsabile dell'effetto serra. Bastano poche espressioni chimiche del liceo per capire che, considerando il processo globale produzione-combustione, la percentuale di anidride carbonica prodotta è la stessa che si avrebbe bruciando direttamente l'idrocarburo. E siccome, partendo da dati reagenti iniziali, ed arrivando a dati prodotti finali, l'energia complessiva prodotta o assorbita è indipendente dal percorso chimico seguito, anche per il bilancio energetico globale vale la stessa conclusione: si tratta semplicemente di un “altro” modo di bruciare lo stesso combustibile. Il termine “altro” sta a indicare due speranze: riuscire a bruciarlo “con minore inquinamento” locale, oppure “con maggiore efficienza” rispetto ai motori attuali. Siccome il processo produce, complessivamente, gli stessi gas-serra prodotti dalla combustione diretta del combustibile in questione, non approfondirò ulteriormente questi metodi.

L'altro importante metodo di produzione dell'idrogeno è l'elettrolisi dell'acqua.

In termini di energia ideale, è un processo a bilancio zero: si parte da acqua e si ritorna ad acqua. Il bilancio energetico reale è invece ovviamente negativo, per via delle pesanti ed inevitabili irreversibilità, che producono entropia. Tuttavia, preso a sé, non produce gas-serra. A questo proposito ho sviluppato dei calcoli che è possibile visionare e scaricare.

Per rendersi conto delle dimensioni del problema, proviamo a vedere ciò che succederebbe se si volesse trasformare l'intero parco veicolare italiano (circa 34 milioni di veicoli) dall'uso dei combustibili fossili all'uso dell'idrogeno: per fare ciò occorrerebbero almeno un'ottantina di centrali da 1000 MW elettrici ciascuna, funzionanti a piena potenza 24 ore su 24. Questa conclusione, non esattamente ottimistica, mostra un passaggio all'economia dell'idrogeno, anche ridotta al solo trasporto, non facilmente praticabile, anche se idealmente desiderabile.

Può essere invece realistico un uso parziale, in aree ben definite (esempio, veicoli privati o collettivi da città, veicoli usati in ambienti chiusi, ecc.) dove il problema dell'inquinamento sia primario, e giustifichi i costi. Sempre che, ovviamente, altre possibili soluzioni concorrenti (ad esempio la trazione elettrica) non si rivelino migliori.

Altro dato interessante è il rendimento termico totale (rapporto fra la potenza complessiva alle ruote e la potenza spesa), che non supera l' 8%. Questo rendimento è di gran lunga inferiore a quello, dell'ordine del 25%, ottenibile bruciando direttamente il combustibile nei comuni motori, ed anche a quello, dell'ordine del 15%, della motorizzazione elettrica.

Quest'ultimo risultato è concettualmente importante perché, riferendoci ad esempio al trasporto pubblico urbano, mostra che la sua eventuale motorizzazione a idrogeno è sostanzialmente battuta, sul piano dei rendimenti, da una collaudatissima soluzione, perfettamente (localmente) ecologica, in uso da almeno un secolo, che si chiama “tram”.

Abbiamo tuttavia a disposizione un'altra concreta risorsa, il “risparmio”.

Per capire bene il concetto, bisogna ricordare che un cavallo-vapore equivale, in termini di potenza, ad un cavallo reale, in carne ed ossa, ed anche ben sveglio. Cosicché quando ciascuno di noi se ne va in giro in macchina (non una Ferrari, ma piuttosto una Panda) in realtà si trova a bordo di un carro trainato da cinquanta cavalli in carne ed ossa, cosa che anche il più esibizionista non si è mai lontanamente sognato.

Lo Stato italiano oggi fissa, in autostrada, una velocità massima di 130 km/h, di 90 sulle strade ordinarie, di 50 nei centri urbani, ciò per ineludibili motivi di accettabile sicurezza pubblica.

Il calcolo dice che una vettura media di 1000 kg, con 300 kg di carico (quattro persone e bagaglio) a 130 km/h richiede, all'albero motore, circa 43 cavalli, circa 18,5 cavalli a 90 km/h, e circa 6,1 cavalli a 50 km/h.

Ora, basta guardare una mappa delle prestazioni, per vedere che un motore (ad esempio) di 200 CV massimi, fatto funzionare a 43, a 18,5 e a 6,1 CV, ha un consumo specifico (e quindi emissioni specifiche di anidride carbonica) assai maggiori rispetto ad un motore progettato proprio per i 43 CV massimi.

Perciò, in definitiva, nel campo automobilistico reale del mondo reale, l'utopia consiste nel fare “vetture grandi con il motore piccolo”, in modo che trasportino molto carico, con il motore che funzioni sempre nella zona di minore consumo specifico.

Con ciò si possono ridurre in modo cospicuo, in un colpo solo, a tecnologia nota, sia i consumi che le emissioni di gas-serra, nonché il debito petrolifero connesso ai trasporti.

Più che di cambiamenti traumatici, abbiamo forse solo bisogno di un depotenziamento. Che non significa perdere nemmeno una delle infinite e gradite comodità di cui godiamo, ma solo abbandonare le più smaccatamente superflue, che paghiamo in termini di energia, risorse del pianeta, inquinamento, effetto serra: in sostanza, di entropia.

A che servono le luminarie faraoniche, le automobili con allestimenti barocchi, gli spazzolini da denti motorizzati, le espressioni più pacchianamente vistose della ricchezza?

Mi sembra che un oculato “depotenziamento sostenibile” si possa fare.

Ripartiamo dai 43 cavalli. Certo, restano le salite. E qui non so che dire, se non: “vai un po' più piano, e ti godi il panorama”.

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