La Cantina
Cari viaggiatori, scendete nella Cantina dell'Arengo. Troverete l'entrata sotto l'insegna “Tempo & Spazio Liberi”; lungo le scale fate attenzione a dove mettete i piedi, e occhi ben aperti, l'oste ogni tanto si dimentica di caricare le lampade.
Fermatevi per tutti gli istanti che riterrete necessari per ristorarvi prima di ripartire, e chiedete da bere all'oste.
Non sorprendetevi se vi verrà offerto un bicchiere di vino.
Nessuno vi disturberà o vi chiederà da dove venite, dove siete diretti, chi siete e che cosa fate.
Vi trovate in un locale discreto.
Sarete voi stessi, dopo poco, a sentire il bisogno di raccontare il vostro percorso, le avventure passate e le speranze del domani. Vi meraviglierete di come i racconti vi usciranno dalla bocca fluidi, e di come considererete amici persone di cui fino a pochi istanti prima ignoravate l'esistenza.
Vi maledirete anche quando vi scapperà un racconto che conservavate da tempo dentro di voi, e che in cuor vostro preferivate ci rimanesse.
Non preoccupatevi, l'oste è persona discreta.
Vi inizierete ad interrogare sulle proprietà di questa inebriante bevanda. Di questa infusione di energia vitale che vi sentite scorrere nelle vene; di come sia maledettamente vero il detto in vino veritas (ci aveva visto lungo quell'Alceo[1]); del fatto che vi si aprano nuovi orizzonti e guardando ai vecchi limiti vi si scolpisca in volto un “bonario” sorriso.
Vi verrà naturale iniziare a discutere con l'oste di vino. Converrete con lui che sia molto meglio parlarne con vicino una bottiglia di vino, per non dimenticarsi di cosa si stia parlando.
Noterete che al di fuori di questa cantina vi sia questa assurda abitudine di parlare di vino con strane parole, utilizzando un linguaggio incomprensibile ai più, forse nel tentativo di mostrarsi come Dei, i soli prescelti che abbiano il diritto di bere e capire questo Nettare. Che nella maggior parte degli Arenghi si abbia la strana consuetudine di parlare di vino senza berlo: di fare volteggiare ampi calici con strane posture, quasi che il bicchiere diventi una sorta di spada per un incontro di fioretto, mostrando quanto si è bravi a portare il vino sul limite del baratro quasi fosse una disciplina olimpica, senza mai portarli alla bocca, quasi con la paura di mostrare sul volto il piacere di un sorso di vino.
Vi renderete conto che non esiste al mondo bevanda paragonabile al vino, per il semplice piacere di sorseggiarlo, per gli effluvi benefici che sentirete scorrere nelle vene, per il giusto e profondo sonno che vi regalerà alla notte e per il piacevole risveglio del mattino; ma vi renderete conto che in mano non state tenendo il Sacro Graal, che non ha senso danzare come le scimmie di Odissea 2001 intorno alla botte (a meno che gli effluvi non vi facciano gridare di gioia l'anima…), temendo di non essere all'altezza di un vino troppo buono.
D'altronde aveva terribilmente ragione l'oste di un'altra cantina, “un certo Veronelli”, quando diceva che non esistono vini buoni o cattivi, ma vini che regalano emozioni[2]. Quindi emozionatevi, e riempitevi il cuore della gioia che vi può regalare.
Ormai l'oste vi ha fatto vittime della potenza seduttrice del nettare degli dei, e vi accorgerete che vorrete riprendere il cammino come un dio, cercando altre cantine e altri vini che vi possano inebriare.
L'oste sarà ben lieto di consigliarvi, di indirizzarvi verso amici che vi accoglieranno con gentilezza e non come avvoltoi in perlustrazione sui vigneti, di raccontarvi le sue poche e modeste conoscenze affinché non prestiate ascolto ad osti che si riempiono la bocca solo di parole e non di vino.
E ora brindiamo alla nascita dell'Arengo, SALUTE!
[1] Il famoso detto “in vino veritas” è arrivato a noi in latino, ma sembra che le royalties siano del poeta greco Alceo.
[2] Non si tratta della citazione esatta (in quanto non me la ricordo esattamente…) ma del “succo d'uva” della frase.