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Scritto da nel Numero 163 – Estate 2020, Scienza | 0 commenti

Cielo che scompare

Cielo che scompare

La Via Lattea è uno degli spettacoli più affascinanti del cielo estivo.
Nelle notti limpide questa galassia composta da miliardi di stelle, fra cui il nostro Sole, solca il cielo come un lungo nastro luminoso.
Nota già dall’antichità, il suo nome è di origine greca ed è stato ispirato dalla mitologia.
Zeus, padre degli dei e incallito rubacuori, si era invaghito di una donna mortale, Alcmena. Bramoso di conquistarla prese le sembianze del marito di lei, Anfitrione.
Dalla relazione nacque il leggendario Ercole. Il bambino però, figlio di un dio e di una  mortale, non poteva essere accolto nell’ Olimpo.
Per farlo diventare divino a tutti gli effetti suo padre ideò un espediente.
Accortosi che la consorte Era stava dormendo, Zeus avvicinò di soppiatto il piccolo Ercole al seno di lei. L’ intento era quello di nutrire il bambino con il latte divino di Era, così da renderlo un dio a pieno titolo. Ma Zeus non aveva tenuto conto di un particolare, anche se neonato Ercole era già dotato di una forza sovrumana.
Sul punto di iniziare la divina poppata, il bambino afferrò vigorosamente il seno di Era. Il risveglio della dea non fu dei migliori e la moglie di Zeus allontanò bruscamente il piccolo.
Ercole non diventò un dio, ma la sua strizzata aveva fatto schizzare il latte dal seno della madre degli dei verso il cielo: era nata la Via Lattea.
L’episodio è rappresentato in un famoso quadro di Tintoretto, l’ Origine della Via Lattea, conservato alla National Gallery di Londra.
Lasciato l’ Olimpo torniamo sulla terra per osservare come lo spettacolo della Via Lattea sia correndo il rischio di scomparire.  L’ inquinamento luminoso del cielo notturno, finora quasi completamente ignorato, sta compromettendo l’ osservazione del firmamento per i 4/5 degli abitanti del pianeta. Purtroppo il nostro paese divide con la Corea del Sud il primato del cielo più  inquinato fra le nazioni del G20. Eppure proprio in Italia venne realizzato, nel 1971, uno dei primi studi sullo stato del cielo. Tre astronomi della Specola vaticana mapparono tutta la penisola per avere un quadro completo sull’ intensità dell’ illuminazione artificiale del paese. Dallo studio emerse che le aree più buie del paese erano l’ isola di Montecristo e alcune zone interne della Sardegna. Nelle grandi città la luminosità era fino a quindici volte maggiore a quella naturale del cielo notturno. Anche se è passato ormai mezzo secolo, i dati dello studio sono ancora coerenti con una situazione che non ha fatto che peggiorare.
Lo conferma l’ Atlante mondiale dell’ inquinamento luminoso, redatto nel 2016 da un gruppo di ricercatori che comprende tre astronomi italiani. Fra di loro Fabio Falchi, ricercatore dell’Istituto di scienza e tecnologia dell’inquinamento luminoso di Thiene (Vicenza) e presidente di «CieloBuio, le cui parole danno un’ idea dell’ intensità di questa emergenza ambientale: «La luce naturale notturna più intensa, quella della Luna piena, è pari a 0,3 lux al massimo, mentre su una rotatoria possiamo trovare anche 120 lux», racconta Falchi. E prosegue: «Anche il cielo notturno ha una propria luminosità naturale, che deriva dalla brillanza delle stelle invisibili a occhio nudo, poi dalla nostra atmosfera, una sorta di aurora permanente, e infine dalla luce zodiacale, la luce del Sole riflessa dalle polveri interplanetarie. In Pianura Padana per esempio, anche in aperta campagna, a causa dell’eccesso di luce prodotta dall’uomo, il fondo del cielo finisce per essere cinque o sei volte più luminoso del naturale e questo ci impedisce di vedere la via Lattea».
La perdita del buio naturale non ha come sola conseguenza il non poter osservare il cielo stellato, può anche causare problemi alla salute. La prolungata esposizione notturna  alla luce artificiale tende a ridurre la secrezione di melatonina, un ormone importante regolatore dei cicli sonno veglia.

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