Il vescovo blasfemo
Quale più grande bestemmia, intesa come accostamento tra il Sacro e la Bestia, in un Paese che non mangia per vivere ma vive per mangiare, di un accostamento tra il Tortellino e il pollo. Quale più lampante esempio di integrazione impossibile se un romano si trasferisce a Bologna per bestemmiare il Sacro Tortellino al Maiale, quale peggiore sostituzione etnica che tra avicoli e suini.
Immediata per chi aderisce ad un ortodosso paganesimo bolognese viene la risposta di lanciare un contropiede nel nome del maiale contro il Sacro venerato del Vescovo, di respingerlo alle frontiere, ricacciare l’indegno a bestemmiarsi carbonare e amatriciane e assicurarsi un’indigestione di Like, nel silenzioso fastidio provato da chi da sinistra si trova per l’ennesima volta ad astrologare educate posizioni che finiscono in fretta catalogate come ‘elitarie’ e ‘radical chic’ e che lasciano quel retrogusto di pollo che fa fatica ad andare giù.
Di varianti di tortellini stellati se ne contano ormai a bizzeffe, dai tartufi al pesce alle croste di parmigiano, ma questo tortellino dell’accoglienza è accompagnato proprio dalla puzza del povero abituato a mangiare il pollo e dal dato politico che il cibo serve per nutrire la società e non la società a venerare il cibo. Ed è questo a far traballare le nostre convinzioni. La percezione che il nostro Bel Paese immagina per se stesso, un gigantesco ristorante per occidentali benestanti dove possiamo dare lezioni di ortodossia, nel quale ci possiamo asserragliare a ignorare i gusti degli altri, è un tratto nazional-popolare che ci accomuna al di là di chi tollera la variante e chi la schifa.
Noi salutiamo invece con gioia il messaggio rivoluzionario del Vescovo di Bologna, l’accostamento tra il Sacro e il Profano, tra le teche delle ricette ultra-centenarie e i sette miliardi di palati del mondo e ci rallegriamo di toccare con mano la forza rivoluzionaria di una società libera e globale che crea fusioni di odori e sapori, di ananas e di pizze, di colori e popolazioni, ricchi e poveri, senza nulla togliere ad alcuno ma aggiungendo un posto a tavola per l’altro.