I mostri di Riace
Parafrasando il genovese Balilla che la rivolta la iniziò, sembra ora il caso dell’invocazione opposta: che la si smetta.
Il caso di Domenico Lucano, sindaco di Riace, esempio mondiale di un modello di accoglienza che l’integrazione la realizza davvero, è stato sottoposto agli arresti domiciliari. Dopo un anno e mezzo di indagini, il provvedimento di restrizione della libertà si giustifica perché le due cooperative affidatarie della raccolta rifiuti non avrebbero compilato il modulo d’iscrizione all’Albo e perché avrebbe parlato a telefono di un matrimonio.
Era il 1992 quando l’offensiva giudiziaria scardinò la nostra Repubblica, ne colpì i partiti politici, rese capro espiatorio chi non mostrò l’ipocrita vigliaccheria dell’omertà, aprì la strada alle privatizzazioni, ad una deriva in cui la classe dirigente è sempre più ignorante e impreparata, priva di prospettiva strategica e di coerenza. Oggi paghiamo i frutti della scelleratezza e della disinvoltura con cui il nostro Paese ha ammesso che l’ego smisurato di alcuni pubblici ministeri che godono delle storture burocratiche per legiferare in proprio potesse diventare paradigma di moralità ed efficienza politica.
Possiamo scommettere che Mimmo Lucano sarà scagionato, perché questa è ormai la routine: titoloni di giornali, indagini infinite, provvedimenti sconclusionati con infine la demolizione dell’impianto accusatorio da parte dei giudizi. A testimoniare che la giustizia esiste, ma è sempre meno tollerabile nelle sue storture.
Le ci sono voluti dieci giorni per rendersi conto che erano già passate le 48 ore che la costituzione prevede per i fermi amministrativi ed il caso del sequestro delle persone sulla nave Diciotti era uno sfregio allo stato di diritto, svolto in maniera evidente, con protervia, predeterminazione, abuso di potere e flagranza di reato, con gli ordini emessi via Facebook in un clima di violenza informale che ha impedito il legittimo sbarco. Chissà se un giorno ci racconteranno qualcosa in più sul comportamento delle Forze dell’Ordine di fronte a quella banchina.
Mimmo Lucano, a metà strada tra l’emerito sconosciuto che rimane intrappolato nelle maglie dei processi farsa e un prigioniero politico di un sistema burocratico forte con i deboli e debole con i forti, è oggi canarino in una miniera. Finché sarà libero l’aria sarà ancora respirabile per chi non si arrende ad una classe dirigente ignava e prona all’aria che tira, che ci ricorda oggi che cosa sia sempre stata l’Italietta serva di due padroni, fascistella e gattopardesca.
Se il nostro Paese vuole chiudere porti e aeroporti, impedire i diritti umani sul nostro territorio, consentire un uso disinvolto del potere giudiziario, imporre la moralità dei consumi e condannarci ad un futuro opaco non ci resta che fare in fretta a chiedere asilo politico all’Europa.