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Scritto da nel Numero 147 - 1 Gennaio 2018, Politica | 0 commenti

Campagna elettorale 2018

Campagna elettorale 2018

Dopo un 2017 scoppiettante a livello di elezioni europee, è il turno del nostro Paese, spesso avanguardia dei trend politici più disruptive. La campagna elettorale comincia e finirà nella stagione invernale, come cinque anni fa, mentre i nostri campioni di sci conseguono i successi sulle bianche piste del Circo bianco.

Cominciamo dal PD, che in questi anni non è stato per nulla quello della rottamazione e del plebiscitarismo, marchi di fabbrica di quel Renzi originario a me cordialmente antipatico che prendeva il 40% alle europee. Il PD a trazione renziana ha invece svolto il cammino che Prodi avrebbe dovuto intraprendere nel 2006: una Grosse Koalition, in grado di procedere sulla strada di una modernizzazione del Paese compatibile con l’Europa, i diritti umani e premiante per le persone oneste. In questo senso vanno la dichiarazione dei redditi precompilata, l’abolizione del bollo annuale sul passaporto, il canone in bolletta, i matrimoni civili per omosessuali, la legge sul testamento biologico ed un rispetto fermo dei diritti umani dei migranti: la cifra di un quinquennio portato a termine a testa alta. Dall’avvio balbettante ed umiliante per chi come me aveva sempre sostenuto Bersani si è giunti ad una delle legislature di maggior successo degli ultimi decenni.

La sconfitta al referendum costituzionale rimarca l’errore di non accettare al Quirinale Giuliano Amato, alienandosi il consenso del berlusconismo nazionale, mentre la realizzazione del Jobs act identifica il coraggio di chi, a differenza di Prodi, D’Alema e Treu, Maroni e Sacconi, ha voluto affrontare il tema del lavoro partendo dalla testa dei contratti nazionali e non dalla coda dei contratti atipici. Personalmente sostengo il Renzi precursore di Macron, in grado di partecipare al grande partito unionista europeista che aspettiamo alle prossime elezioni europee, capace sia di farsi avanti quando fu il suo turno di sostituire Letta sia di farsi da parte al momento della sconfitta senza mai lasciar correre il pallino politico nelle mani degli altri (leggi Prodi, D’Alema, Amato e la politica delle dimissioni senza costrutto). Il Renzi della legge sulle intercettazioni, non accecato da quell’anti-berlusconismo che impediva di vedere le ragioni dell’altro, e delle banche, che difende sé e la sua parte a viso aperto per non aver commesso alcunché di sbagliato. Renzi dopo aver snobbato le elezioni locali ora non può giocarsi la gara nazionale da front-runner: vedremo come se la caverà.

Berlusconi ha recuperato la trazione sul centrodestra e sembra stare raccogliendo di nuovo il proprio consenso sedimentato negli anni, con una coalizione tuttavia fortemente ambigua sulle tematiche più critiche, Europa e migranti. Il quinquennio di salvinismo spinto sta mostrando la corda e a volte sembra proprio che questa coalizione serva più a ingabbiare il leghismo nazionalista che non a rappresentare l’ambizione di un vero programma di governo.

I Cinque stelle, grandi favoriti, giocano con il loro statuto come i bambini con il pongo: osservato razionalmente, questo movimento mostra tutto il proprio analfabetismo democratico, incorona leader esenti dalle regole che dovrebbero valere per tutti (o forse solo per gli altri?), fomenta ragionamenti di avanguardia surrealista sull’Europa (mi si nota di più se esco o se rimango dentro ma voto per uscire?), ignora le basi del metodo scientifico (vedi vaccini) e delle prerogative parlamentari (100.000 euro di multa per chi non obbedisce al padrone). Vedremo se nonostante la migliorata congiuntura economica potranno attecchire sul disagio che si propongono di manifestare.

Il disagio che si propongono di raccogliere i Liberi e Uguali e Grasso di Bersani e D’Alema è più sottile: il ricordo attanagliante di quell’ultima immagine durante lo streaming con Lombardi e Crimi si è trasformato nel bisogno di riprovare a ricostruirla a distanza di anni. Surrealismo puro, laddove il reale è formato più dall’osservatore che dall’oggetto osservato. Vedremo il consenso che sapranno raccogliere tra gli orfani del comunismo, se e quanto i cervelli risulteranno avvolti non nei meriti di quel grande partito ma nella doppiezza psicologica che consentiva di essere ubiqui a est e a ovest, al governo e all’opposizione, a favore delle grandi opere dal Governo ma dubbiosi su TAP dal Salento, e soprattutto se questa ambiguità riguarda solo una parte del ceto politico oppure se sia ben diffuso nell’elettorato.

Intorno a questi ceppi principali è partito il mercato secondario delle liste, da Alternativa popolare divisa in due, alla Lorenzin, dalla Bonino ai socialisti-ulivisti e a quant’altro or non mi sovviene. Pronti via, avanti con il 2018.

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