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Scritto da nel Numero 145 - 1 Novembre 2017, Politica | 0 commenti

Con i fascisti non si discute

Con i fascisti non si discute

Ho poco più di trentotto anni, più o meno come Federico García Lorca quando fu assassinato dai fascisti spagnoli nell’estate del 1936. Erano le settimane in cui la guerra civile prendeva tragicamente piede e i nazionalisti erano assai disturbati dal fatto che un uomo libero portasse in giro poesia assieme all’idea di democrazia. La cultura di tutto il mondo abbracciò la causa repubblicana: artisti, scrittori e intellettuali d’ogni dove sostenevano la resistenza di chi combatteva contro coloro che invece erano difesi e foraggiati dall’Italia di Benito Mussolini e dalla Germania di Adolf Hitler. Negli esiti di quei combattimenti, che lacerarono profondamente il tessuto sociale, prese forma la dittatura che Francisco Franco condusse fino al 1975 quando la sua morte affidò a Juan Carlos, principetto borbonico nato nel 1938 al sicuro della capitale d’Italia, il comando supremo dello stato spagnolo.

Come ho già rilevato lo scorso mese, sono intollerabili le violenze a cui abbiamo assistito da parte di una forza di polizia – la Guardia Civil – che come simbolo ha nel 2017 una spada incrociata a un fascio littorio. Intollerabili e ingiustamente tollerate da un’Europa i cui governi burocratici riconoscono solo ciò che è ufficiale e quindi alzano gli scudi accettando passivamente che parte di un governo locale espresso dal popolo sia messo agli arresti, altra parte costretto all’esilio. Il suo presidente, eletto dal parlamento locale e nominato dallo stesso re di Spagna, costretto a ripiegare altrove. L’esilio!

Le cosiddette forze democratiche europee, ossia quelle che si autoproclamano uniche degne di reggere i paesi del vecchio continente, si affannano a fare un gran calderone di tutto ciò che è diverso da loro, tacciando di populista ogni richiesta popolare, ogni indirizzo che non rientri nelle loro agende. Questa bieca insiemistica è figlia di un analfabetismo politico che imperversa ormai dappertutto, e che purtroppo affligge gravemente i nipoti di coloro che avevano combattuto per la libertà. Da destra a sinistra (per modo di dire) quasi tutti in Europa sostengono che la sovranità derivi dalla preesistenza e risieda nell’intoccabilità. In Italia, idem. Ma cosa rende legittima l’espressione di un potere? Cosa, se non la volontà popolare?

Carles Puigdemont è certamente una figura ambigua nel panorama degli spunti indipendentisti europei, certo rappresentati più sobriamente dai rappresentanti scozzesi. Ma dove sta l’opportunità politica se non la si porta alla ribalta dell’azione, della presa di posizione, della fermezza nel dichiarare che qualcosa di precostituito è modificabile? Ben lo sapevano tanti politici italiani costretti alla fuga da uno stato legittimamente riconosciuto in seno al consesso internazionale, ossia lo stato fascista del regno d’Italia negli anni Venti e Trenta. Da don Luigi Sturzo a Palmiro Togliatti, passando per tutto l’arco socialista (Pietro Nenni, Ferruccio Parri, Carlo Rosselli, Giuseppe Saragat, Filippo Turati, Claudio Treves…) furono molti a dover fuggire in esilio perché la sovranità non risiedeva nella legittimità dell’azione democratica bensì nella legittimità della sovranità riconosciuta. Numerosi tra loro presero parte alla guerra civile spagnola a fianco dei repubblicani.

Durante la sua permanenza al Quirinale, un altro di quegli uomini costretti all’esilio (poi a lungo incarcerato), Sandro Pertini, invitò i giovani in mille occasioni a combattere per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale. E a combattere i fascisti con ogni mezzo. “Con i fascisti non si discute”, diceva. Un messaggio chiaro a molti, ma non a tanti di coloro che ne rivendicano l’eredità politica.

In fin dei conti, gli indipendentisti catalani non chiedono che una vera transizione democratica, la libertà di svincolarsi da una monarchia figlia di una dittatura fascista e che usa metodi fascisti, e governarsi da sé come protagonisti di un’Europa fatta di uomini liberamente associati, e non di imposizioni palatine.

 

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