Stessi elementi in forme differenti
Superato l’orizzonte dello specchio
spedizione dirottata sul non ritorno
(…)
io scopro galassie col tuo profilo
milioni di soli che danno fiori
riti di pace
e no frontiere
I versi riportati qui sopra esordiscono con un’immagine delicata ma potente: l’uomo che riesce a guardare oltre sé stesso, a porre come orizzonte per sé l’altro da sé e la natura che lo circonda, si apre a una partenza. Il viaggio in questione può essere al contempo reale e spirituale, questo non conta, mentre ha grande importanza il fatto che non ci sarà un ritorno: lo sguardo che abbraccia una veduta più ampia non può desiderare di tornare a una piccola porzione di ciò che è in grado di vedere. Così, l’uomo è partito. Davanti a lui non c’è più un paraocchi, non un vetro che ne rifletta la sua sola singolarità, non un muro, nemmeno un cielo: perfino l’aria che lo circonda è troppo piccola per la nuova prospettiva che egli si è dato, una prospettiva che non si ferma a uno sguardo ma che si spinge all’osservazione, un metodo che non si limita a un’apparenza ma s’ingaggia nella ricerca. Intorno a sé non c’è un campo, un paese, un continente, ma l’universo: quello fisicamente calpestabile del pianeta e quello culturalmente esplorabile delle sue genti. Ecco allora che l’uomo scopre vere e proprie galassie, che esistendo contribuiscono a formare e ad arricchire il suo stesso universo; ne sa riconoscere il valore perché vi scorge un profilo rassomigliante a qualcosa che ama. Luoghi nuovi dove non c’è un solo centro dell’attenzione, ma milioni di fonti di luce che offrono la più ampia gamma di colori e addirittura fanno sbocciare fiori, qualcosa che significa molto per chi guarda: egli era infatti abituato alla ristretta certezza che un fiore nascesse solo dalla terra. Quanto scopre! Scopre infine che le genti di queste galassie non sono use a compiere riti di tipo liturgico o forense, ma tradizionalmente si riuniscono per celebrare la pace che vige fra loro grazie al fatto che non esistono frontiere.
I versi citati in apertura di queste righe risalgono a ventidue anni fa; sono scritti e musicati a firma di una band che si chiama Litfiba. Ciò a cui andiamo incontro oggi è esattamente l’opposto di quanto cantato da Piero Pelù: le politiche retrograde e fortemente anti internazionalistiche dei governanti del G20, ben anticipate da decisioni di governi “occidentali” e probabilmente seguite a breve da posizioni analoghe di esecutivi nazionali d’ogni dove, mirano nemmeno a confinare l’uomo davanti allo specchio bensì a rinchiuderlo in una scatola di specchi. In quei versi del 1995, intitolati appunto No frontiere, un’altra figura poetica parla di stessi elementi in forme differenti. Ci vorrà ben poco per comprendere come si possa tracciare un parallelo con gli esseri umani. La comprensione di ciò manca tuttavia a questi scellerati governanti e ai loro irresponsabili elettori.
Nessuna risposta politica vale il disastro sociale che alcune scelte creano a livello locale e planetario. Finché non si riuscirà a porre l’orizzonte dell’essere umano un po’ oltre il benessere economico della proprietà privata e delle frontiere, scudi per la protezione di un vantaggio e perciò complici di uno sfruttamento diretto o indiretto, sarà impossibile armonizzare il pianeta in quello che non è un sogno e che non ha bisogno del protrarsi di violenze fra le genti. Perché tutti vivano bene, infatti, non è necessario infrangere gli specchi altrui; sarebbe sufficiente che ciascuno spostasse di lato il proprio, e guardasse che cosa c’è al di fuori di sé.
2 giugno 2022