I curdi per la prima volta in Parlamento, Erdogan perde ma la Turchia resta a destra
Le elezioni turche dello scorso giugno hanno mostrato un Re senza corona, quello
che doveva essere un referendum per Erdogan si è trasformato in un boomerang
perché, dopo tredici anni, il partito conservatore del presidente turco perde
la maggioranza assoluta, rispetto al 2011 un calo del ben 10%. La vigilia del voto è stata molto dura, macchiata dalla violenza, con quattro morti per una bomba al comizio dell’Hdp a Diyarbakir. Attentato che la
formazione curda ha giudicato come una vera e propria provocazione.
L’Akp, il partito di Erdogan, si conferma la prima forza politica del Paese, tuttavia sfuma definitivamente l’idea di creare una repubblica presidenziale con la quale Erdogan, forse, avrebbe voluto aprire una lunga fase
di incontrastata “monarchia”. L’altra notizia di queste elezioni riguarda la
sinistra del panorama politico turco, dopo l’Hdp, partito curdo di sinistra,
nato appena un anno fa, supera la soglia di sbarramento del 10% ed entra per la
sua prima volta in Parlamento. Risultati alla mano Erdogan con il suo partito
ad ispirazione islamica ha ottenuto poco più del 40% dei voti
pari a 258 seggi, mentre ne servivano 276 per la maggioranza.
All’opposizione il kemalista Chp ha conquistato il 25%
pari a 131 rappresentanti mentre il nazionalista Mhp va oltre il 16% con 82
seggi. Il partito filo-curdo di sinistra, Hdp, di cui già detto entra per la prima volta in Parlamento con
78-80 deputati. In teoria le opposizione potrebbero quindi formare un governo
di coalizione, avendo più di 290 seggi ma secondo voci vicine ad Erdogan si potrebbe
tornare a votare.Il partito di Erdogan ha perso voti dove è cresciuto l’Hdp che
ha conquistato voti anche nei territori lungo il confine con la Siria, dove è
forte il malcontento per la presenza di centinaia di migliaia di profughi
siriani e soprattutto Erdogan viene accusato di appoggiare i gruppi armati
jihadisti, Hdp ha conquistato i voti di tre milioni di giovani, quelli di Gezi
Park, che manifestavano nel 2013 contro le politiche autoritarie del Governo e
chiedevano una politica più “europea”.Per il leader conservatore questa
rappresenta probabilmente la sconfitta più cocente della sua carriera
considerato che alla vigilia del voto le premesse erano quelle di conquistare
ancora una volta la maggioranza assoluta. Inoltre in caso di
ottenimento di più del 60% avrebbero potuto indire un referendum per attribuire alla presidenza e quindi a se stesso il potere esecutivo che avrebbe trasformato la Turchia in una Repubblica presidenziale. I sogni
dei una “dolce dittatura” assaporata alla vigilia del voto restano nel cassetto
del presidente.
Erdogan è stato dunque notevolmente ridimensionato dalle elezioni tuttavia la Turchia si conferma un
Paese conservatore come testimoniano i voti ottenuti dai nazionalisti dell’Mhp che e potrebbero essere
prossimi ad un’alleanza con l’Akp.Tuttavia lo scenario è complesso perché alla
vigilia del voto i partiti di opposizione, Mhp compreso, attaccarono duramente
l’Akp, denunciandone la deriva dittatoriale e islamiche del “sultano”
escludendo qualsiasi forma di alleanza politica.Inoltre inficiano l’immagine
del Governo gli scandali sulla corruzione emersa con le inchieste sulla Tangentopoli
del Bosforo, insabbiate da Erdogan stesso che ora dovrà percorrere una strada
che non lascia molte alternative.Il leader conservatore potrebbe cercare di promuovere
un governo di minoranza dell’Akp guidato dal premier uscente Ahmet Davutoglu mentre
Chp, Mhp e Hdp potrebbero cercare di trovare un’intesa, mettendo da parte la
“guerra” tra Hdp e Mhp con l’obiettivo comune di sconfiggere, momentaneamente,
fino a nuove elezioni, l’Akp. I numeri delle elezioni turche dicono che
si è votato in 81 province dove sono stati eletti 550 membri del Parlamento unicamerale. Gli aventi diritto al voto erano
53.765.000 turchi, oltre due milioni quelli che hanno votato all’estero. Oltre
50mila osservatori neutrali in collaborazione con osservatori dei partiti e
delegazioni Osce hanno assicurato il corretto svolgimento delle elezioni
scongiurando il pericolo brogli.