Il piccolo e magro referendum greco
Tsipras, alfiere delle sinistre europee più sinistre, dopo aver vinto le elezioni nel suo Paese presentandosi con un programma di riforme economiche accreditate da professori greci impiegati in università di lignaggio internazionale, ha perso la trattativa con la Troika.
Al di là dei tecnicismi, le cui vie sono infinite e che solo i posteri scopriranno come sapranno inverarsi, il dato politico è che il Governo greco non è disponibile a ricevere ulteriore credito dalle istituzioni finanziarie ed ha fallito nel proporre all’Europa un paradigma economico non monetarista. Evidentemente, la modifica delle dinamiche europee stabilite nei Trattati non era cosa ottenibile in pochi mesi, ed inoltre per porsi quell’obiettivo, sacrosanto e decisivo per lo sviluppo del nostro Continente, per come funziona l’attuale assetto di potere richiede al partecipante un atteggiamento da mercante del suk: sedersi a temporeggiare, sorseggiando bevande calde mentre l’importante è non alzarsi mai dal tavolo ma guadagnare tempo e contestuale credito. E tessendo e intessendo senza sosta alleanze con gli altri commensali.
La mossa del referendum è chiaramente sintomo di un revanscismo opportunista e nazionalista, dove la constituency del Governo nazionale non è, come auspicabile, la quota parte di sovranità europea ma il proprio bacino elettorale. Non solo, chiedere al popolo conferma della rottura delle trattative è segno di una politica incapace di prendere le proprie decisioni, di indicare un cammino, di una politica malata e mediatizzata che abdica al proprio delicato mestiere ma preferisce un televoto per scaricarsi la coscienza: non è ciò che occorre al delicato lavoro di costruzione pacifica a cui la politica di oggi è chiamata.
E’ chiaro che l’Europa richiede una cessione di sovranità ed è altrettanto chiaro che la tanto auspicata Europa unita che dovrà passare da un allineamento delle politiche fiscali nazionali non potrà essere soggetta a infiniti referendum.
Vedremo già domenica che cosa sarà del voto del popolo greco. Un referendum sconfitto in partenza, al quale già i proponenti si presentano chiedendo un voto per ratificare una sconfitta, e per il quale gli avvocati sono già al lavoro per chiederne l’annullamento, sempre che dal punto di vista legale dei Trattati internazionali la scelta di non pagare in cambio di non avere più credito possa avere un qualche senso oltre ad essere una scelta perdente che in quanto tale toglie armi negoziali ai greci.
Greci ai quali va la nostra solidarietà, che stanno mettendo al sicuro sotto il materasso i propri sudati risparmi in una valuta stabile, e che domenica sono chiamati, in prima istanza, a non rompere il giocattolo europeo ma a sbarazzarsi di un Governo unfit to Europe. L’Europa non è un pranzo di gala al quale farsi notare senza cravatta e la crescita della democrazia su scala internazionale è qualcosa di più serio di un televoto.