Il valzer degli incarichi di Alessandra Moretti
La rottamazione renziana ha in superficie sostituito qualche matusalemme della politica nostrana, ma in pratica si sta dimostrando un passaggio politico pernicioso ed irritante come pochi nella storia della Repubblica. E non si tratta solamente del modus operandi nel portare avanti con arroganza inaudita, specie all’interno del Partito democratico, le riforme che muteranno le fondamenta del nostro sistema politico; ma di quella propensione alla bugia che sta diventando ossessiva ed offensiva per la cittadinanza.
Gli annunci del governo stanno diventando ripetitivi, un mantra di berlusconiana memoria, mentre si susseguono a ritmi incalzanti gli scandali di corruzione scoperchiati dalla magistratura (e da coraggiose inchieste giornalistiche), che hanno come protagonisti sempre più spesso uomini del centrosinistra, come mai forse era avvenuto in passato (fatto salvo l’ultimo lembo di storia del Partito Socialista Italiano).
E’ eloquente notare come le donne e gli uomini del nuovo corso renziano, nel rapporto con il potere, siano in tutto e per tutto uguali ai politici che li hanno preceduti. Gli incarichi non sono quindi una missione, come dovrebbero essere, ma temporanee sistemazioni dalle porte girevoli che si tramutano in trampolini di lancio allorquando si presenti un’occasione gerarchicamente migliore.
Caso emblematico: Alessandra Moretti. Eletta in parlamento nel 2013, dopo appena un anno va all’assalto dell’Europa con la candidatura a Bruxelles nella primavera 2014, naturalmente come capolista Pd di circoscrizione (stesso discorso per le sue colleghe Alessia Mosca, Simona Bonafè e Pina Picierno). Passa ancora un anno ed eccola puntare diritta alla Regione Veneto il prossimo 31 maggio.
Questa attitudine dovrebbe essere notata e punita dagli elettori. Ma in un’epoca di scarsa informazione e carente senso civico, un discorso del genere non quaglia sul proverbiale pressapochismo all’italiana.
Naturalmente la Moretti non è l’unica interprete ballerina d’incarichi istituzionali. Ve ne sono stati e ce ne sono a iosa in (quasi) tutti gli schieramenti politici. Il fatto che le posizioni in governi e amministrazioni vengano assegnate non in base alla competenza ma per consolidare equilibri politici o accontentare lobby di potere è una questione annosa per la quale non vi può essere un rimedio normativo. Perciò è probabile che continueremo ad osservare attoniti ed anche un po’ divertiti a promozioni come quella di Paolo Gentiloni a Ministro degli Esteri.
Per quel che riguarda l’abitudine a prendere poco sul serio i ruoli istituzionali – dall’assessore regionale al parlamentare, dal sindaco al consigliere regionale, da parlamentare europeo a presidente della regione e via discorrendo – potrebbe intervenire una normativa che vieti a chi ricopre un incarico politico-amministrativo, fino alla termine della sua durata, di potersi candidare ad ottenerne un altro. Certo, si tratta di un suggerimento rozzo che andrebbe oltremodo affinato, in modo tale da renderlo democratico, senza però sminuirne il senso: la candidatura ad una carica politico-amministrativa deve essere pensata e portata avanti con cura e dedizione. Anche quella semplice di consigliare comunale di minoranza. Solo interpretando con passione ed autenticità i ruoli istituzionali si potrà rendere più civile questo Paese.
Sempre in questo contesto è infine doveroso un riferimento al personaggio politico del momento, Matteo Salvini. Che nella sua prorompente ascesa mediatica sta assurgendo addirittura al ruolo di moralizzatore. Chissà se tra una trasmissione televisiva e l’altra, fra una passerella sul territorio ed un’invettiva in radio, trovi anche il tempo di svolgere il suo mandato di europarlamentare.