Musica dalla nostra città
Quando nel mondo della canzone italiana sono arrivati i “maledetti” genovesi, tutti i cantanti del momento, come Carla Boni, Gino Latilla, Natalino Otto, Nilla Pizzi e C. “hanno smesso di cantare”… Le canzoni degli anni ‘50, caratterizzate da una musicalità ostentata anche nei testi e rigorosamente ispirate ad una metrica neo classica, non è che avessero stancato, anzi, erano ben accette ed anche canticchiate perché rappresentavano quel riferimento di fratellanza nazionale che si andava diffondendo in tutto lo Stivale al tramonto della guerra e all’alba del boom economico. Ma c’è un tempo per ogni cosa. Le forme espressive, assolutamente liriche, e l’esasperazione della ricerca melodica, infatti, cedevano il passo a linguaggi musicali e letterari quasi prosastici ma non per questo meno pregevoli. La generazione musicale genovese, infatti, si esprimeva con musiche non necessariamente melodiche e con parole estremamente semplici costruendo, nonostante ciò, successo dopo successo. “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare”, “Quando sei qui con me questa stanza non ha più pareti ma alberi, alberi infiniti”, “Sassi che il mare ha consumato sono le mie parole d’amore per te” e via dicendo. Conosciamo tutti il successo di queste canzoni!
Un gradevolissimo e prestigioso excursus sull’origine e sullo sviluppo di questo fenomeno genovese, che ha segnato fortemente la tendenza musicale italiana post anni ’50, producendo influenze culturali fino ai nostri giorni, è stato offerto da Sergio Fanti, nel mese di marzo al Teatro Dehon di Bologna. La versatilità e la padronanza scenica dell’Artista hanno impreziosito ed arricchito la nostra conoscenza del mondo musicale dell’epoca. Lo spettacolo, più che teatrale, ha un che di reale a cominciare dalla modalità, che Fanti ha usato, di rapportarsi con il pubblico, al punto da lasciar percepire la performance come un racconto fedele, a noi non sempre noto ed inframmezzato da informazioni riservate sulla vita dei protagonisti e sull’origine delle loro ispirazioni. Vengono così analizzate ed indagate le vite dei vari Tenco, Paoli, Bindi, Endrigo, De Andrè, con il loro contenuto di estrema autenticità e con la tormentosa ricerca di interiorità fino alla massima analisi dei sentimenti più profondi: amore, gelosia, dolore, rabbia politica, sesso e possesso. La fruizione di tutto questo, pervenutaci con la massima piacevolezza, ci è stata possibile grazie alla semplicità (la madre di tutte le sapienze…) con la quale Fanti e la regista Rossella Milencio hanno impostato lo spettacolo.
Il calendario, oggetto dominante della scena, segna il tempo che passa facendoci intuire l’avvio di un fenomeno epocale che avrà molto da offrire. Arricchiscono il contesto recitativo le armoniose coreografie espresse con spettacolarità da Paola Baschirotto, che, con le sue figurazioni mimiche, ha rappresentato le donne per le quali i cantautori scrivevano. Pregevole anche Valeria Russo nella performance realizzata sulla canzone “Non andare via”, traduzione italiana di “Ne me quitte pas”, significativo momento discografico di Paoli nel ’62, e notevolissimo l’apporto di Erica Scherl al violino, davvero suggestiva in alcuni punti nel sottolineare l’intensità dei passaggi, a volte strazianti, in simbiosi con le esecuzioni della Baschirotto.
Lo spettacolo, prodotto da “Divergenze Affiatate”, si conclude con un’inattesa e pregevole nota di “sand art” con la quale la regista Rossella Milencio ringrazia pubblico e artisti sulle note de “Il mio mondo” di Bindi incorniciata da un brano strumentale di Fanti eseguito dello stesso Fanti e dalla Scherl.
E’ intenzione dell’autore continuare, con successive rappresentazioni e nel rispetto della cronologia, la rievocazione della “scuola genovese” dei cantautori.