God bless transfughi: l’Italia vista da Lincoln
Lo scenario si apre sulla fratricida tragedia della Guerra civile americana, tra il fango dei corpo a corpo, tra le fila delle giubbe blu, ove ragazzi bianchi e negri sfilano davanti al Presidente Lincoln che nel corso del film verrà raffigurato nella sua umanità. Persona sobria e figura leggera, il Presidente porta con sé il peso di centinaia di migliaia di morti e di una famiglia colpita come una normale famiglia americana. In lui si vivono le contraddizioni di una battaglia condotta con la guerra, le sue leggi speciali e le necessità di ricondurre in un alveo di legalità le vittorie conseguite militarmente: occorre emendare la Costituzione, sancendo definitivamente l’abolizione della schiavitù.
La vicenda è la cronaca di un mese di blitz parlamentare. Nel delicato rapporto di potere del Congresso americano, ove non si riconoscono gli attuali due partiti ma una moltitudine di rappresentanti degli Stati variamente aggregati, l’azione di Lincoln e dei suoi sodali nella battaglia contro la schiavitù viene svolta proprio secondo i peggiori metodi della politica italiana. Conquistare i 20 voti degli avversari necessari a raggiungere il quorum necessario all’approvazione del XIII emendamento significa, nelle intenzioni dei proponenti, cambiare la storia dell’umanità. Una storia dell’umanità che esce dallo sfondo solo grazie alla visionarietà che il Presidente rappresenta: il Congresso di deputati bianchi sarebbe infatti ben più incline a una trattativa con gli Stati confederati che anteponga le ragioni della fine del conflitto alla conquista civile per la libertà dei negri. Ma ciò non importa a chi esercita la sovranità e che ritiene di consegnare alla memoria dei morti la più grande delle vittorie. L’italiano Machiavelli si toglierebbe la lunga tuba se la portasse a mo’ di Lincoln: la più grande delle vittorie per la libertà passa attraverso corruttele, promesse e accordi sottobanco, mezze verità ed equilibrismi tra fazioni, urla e insulti in aula.
In America pare normale che ognuno eserciti la propria personale sovranità, soprattutto se eletto al Parlamento. La libertà dei deputati conquista la libertà del popolo, nella storia che Spielberg mette in scena. Il che a pensarci bene è vero a rovescio anche qui in Italia, ove a parlamentari asserviti e paurosi corrisponde un Paese che ambisce più a togliere ai rappresentanti che a pretendere per il popolo.