Il Primo Maggio Anarchico di Carrara
Carrara è una città ai piedi delle cave di marmo sulle Alpi Apuane. I carraresi sono carraresi e basta: tutto sommato non sono toscani, perché si trovano proprio al confine con la Liguria e perché parlano un dialetto mischiato all'emiliano, dato che Parma è molto più vicina di quanto non si pensi. Carrara è vicina al mare, ma d'inverno ci fa un gran freddo; è bella, ma è circondata da una vasta zona in cui la speculazione edilizia è stata la grande protagonista della seconda metà del Novecento. La bellezza di Carrara non è solo architettonica: quella c'è, e ha il suo spirito decadente che la fa così signorile, come una vecchia che s'aggrappa al paltò buono per uscire a far la spesa. La bellezza vera di Carrara è umana, e la si percepisce ogni anno il 1° maggio.
Il 1° maggio si festeggia il Primo Maggio. La Federazione Anarchica Italiana, che ha sede nell'anima stessa della città, organizza una sobria celebrazione che ha inizio con un comizio di qualche giovane arrabbiato e di qualche anziano che ricorda giorni che furono. Poi parte il corteo, una lunga fila di persone ordinate che percorre tutto il centro storico, preceduta da un veicolo che diffonde musica. Non si conta che qualche centinaia di partecipanti, quindi se in fondo c'è la banda e ci si trova nel mezzo della manifestazione è possibile sentire sia gli ottoni che strombettano, sia le casse che sparano musica dal pick-up in cima.
A volte c'è un cambio di percorso; ma ogni anno ci si ferma a tutti i monumenti agli anarchici, si offre un fiore e si canta uno dei brani popolari che raccontano le vicende e la storia del movimento.
Il corteo è sempre allegramente rumoroso, soprattutto quando passa di fronte alla caserma dei Carabinieri; ma quando si avvicina alla piazza dove – anche solo in lontananza – affaccia l'ospedale, la musica si ferma, il vociare s'azzittisce e tutti sfilano in assoluto silenzio per rispetto dei malati che guardano dalle finestre o che loro malgrado restano immobili nelle brande.
Tutto finisce in scenografia, con i palazzi eleganti della città che fanno da quinta al banchetto di salame, pecorino, fave e vino rosso con cui la Federazione saluta chi ha preso parte all'evento. E nulla può spiegare il senso di tutto ciò meglio di una frase di Errico Malatesta estratta dal Programma Anarchico del 1919: “Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, noi vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza”.
Chi può non essere d'accordo? A veder bene, anche il più intransigente conservatore e il socialista più incallito non possono che cedere di fronte alla schietta voglia di cambiamento felice che un'intera fila di esseri liberi, una volta l'anno, spinge al cielo con un sussulto.
Il 1° maggio si festeggia il Primo Maggio. La Federazione Anarchica Italiana, che ha sede nell'anima stessa della città, organizza una sobria celebrazione che ha inizio con un comizio di qualche giovane arrabbiato e di qualche anziano che ricorda giorni che furono. Poi parte il corteo, una lunga fila di persone ordinate che percorre tutto il centro storico, preceduta da un veicolo che diffonde musica. Non si conta che qualche centinaia di partecipanti, quindi se in fondo c'è la banda e ci si trova nel mezzo della manifestazione è possibile sentire sia gli ottoni che strombettano, sia le casse che sparano musica dal pick-up in cima.
A volte c'è un cambio di percorso; ma ogni anno ci si ferma a tutti i monumenti agli anarchici, si offre un fiore e si canta uno dei brani popolari che raccontano le vicende e la storia del movimento.
Il corteo è sempre allegramente rumoroso, soprattutto quando passa di fronte alla caserma dei Carabinieri; ma quando si avvicina alla piazza dove – anche solo in lontananza – affaccia l'ospedale, la musica si ferma, il vociare s'azzittisce e tutti sfilano in assoluto silenzio per rispetto dei malati che guardano dalle finestre o che loro malgrado restano immobili nelle brande.
Tutto finisce in scenografia, con i palazzi eleganti della città che fanno da quinta al banchetto di salame, pecorino, fave e vino rosso con cui la Federazione saluta chi ha preso parte all'evento. E nulla può spiegare il senso di tutto ciò meglio di una frase di Errico Malatesta estratta dal Programma Anarchico del 1919: “Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, noi vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza”.
Chi può non essere d'accordo? A veder bene, anche il più intransigente conservatore e il socialista più incallito non possono che cedere di fronte alla schietta voglia di cambiamento felice che un'intera fila di esseri liberi, una volta l'anno, spinge al cielo con un sussulto.