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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 70 - 1 Giugno 2010 | 0 commenti

Petrarca e la prima coesione europea





Qualche volta capita di scrivere di qualcuno la cui fama supera la portata delle nostre penne, oppure di indagare ciò che fu già minuziosamente scrutato1.

Tanto per dimostrare quanto ogni parola qui scritta sia nata da un'idea già espressa, si potrebbe iniziare con una citazione:

“ 'Felici voi', dissi allora sorridendo, 'che abitate sulla rive del Reno, che lava le vostre miserie! Le nostre, purtroppo, né il Po né il Tevere potè mai lavarle. [...]i nostri fiumi, come pare, sono più pigri2.

La mappa delle città toccate dai suoi pellegrinaggi europei conta numerosi nomi, ma poiché se ne trova traccia dettagliata in rete3, non c'è necessità di elencare le tante località visitate tra Colonia e Napoli (latitudine) e tra Lombez e Praga (longitudine).

Tocca però qui riferire del viaggio come valore culturale unificante, ed è necessario tornare a gestire il patrimonio “patriottico” a cui Francesco Petrarca faceva riferimento.

Dei suoi viaggi egli scrive: “Si può paragonare l'errare di Ulisse al mio errare; e senza dubbio, se la gloria del nome e delle imprese fosse la stessa, egli non vagò né più né più largamente di me”. Se certo in ampiezza Petrarca, pur affermandolo, non avrebbe forse il diritto di porsi sullo stesso piano di Odisseo, in quanto “consapevolezza” egli non avrebbe avuto nulla da invidiargli.

I viaggi che fa sono viaggi eminentemente politici, spesso segnati dal suo ruolo di mediatore e portavoce: viaggia, dunque, subito dopo che per soddisfare la propria curiosità e la sua sete di conoscenza, nel tentativo di farsi interprete delle tendenze politiche e di imporsi come intellettuale-poeta attivo, vivace, forte. Non scorda mai la sua latinità e ne rivendica fieramente le lodi nel tentativo di riportare vitali i sentimenti che muovevano i pensatori classici a discapito della corruzione del mondo a lui contemporaneo (scriveva a proposito: “La gola e 'l somno et l'otiose piume / ànno del mondo ogni vertù sbandita, / ond'è dal corso suo quasi smarrita / nostra natura vinta dal costume;”4), e nella prospettiva di poter riattualizzare i valori antichi ne specifica la forza universale nell'accumunare gli “uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi” attraverso “la comune esperienza esistenziale dell'infelicità e dell'insufficienza di ogni possibile sapere”5.

Non c'è motivo di nascondere, ed è questo il motivo per cui si è cominciato quest'articolo con il sopracitato estratto dalle Familiares, la sua avversione per i costumi e per le discordie civili che frammentavano l'Italia del tempo, ma non bisogna scordare che proprio per l'Italia, nel quadro europeo, rivendicava il diritto di capitale culturale (basti il titolo dell'opera datata 1373, Contra eum qui maledixit Italiam, a fare da monito della convinzione petrarchesca che solo l'Italia potesse essere considerata il modello più alto e indiscusso di civiltà) in ossequio alla sua gloriosa storia.

è su questo, dunque, che vorrei accentrare l'attenzione: risvegliare il passato, non con amore nostalgico e sterile, ma come luogo artistico e culturale per ridare unità al presente, come mezzo per ribadire l'uguaglianza civile, politica e sentimentale di tutti gli uomini del mondo (che, con occhi trecenteschi, non doveva avere dimensioni molto più grandi dell'Europa) in una sorta di concentramento, di attuazione di una unificazione culturale che si doveva esprimere nella consapevolezza della “fondamentale uguaglianza dell'animo umano”6. La figura dell'intellettuale si faceva per la prima volta collante, costruttore paziente, risvegliatore, sì indisposto verso le corruzioni mondane, ma cosciente della forza che la sua patria serbava in seno: Petrarca voleva, è riuscì ad ottenere (grazie all'umanesimo che ne seguì), il primo movimento di unificazione europea attraverso il mezzo dell'unificazione culturale tra due popoli, quello antico e quello moderno. Non abbandonò mai la lotta interna per il proprio paese a cui non raramente riservò asprissime invettive (“Che s'aspetti non so, né che s'agogni, / Italia, che suoi guai non par che senta: / vecchia, otiosa et lenta, / dormirà sempre, et non fia chi la svegli? / Le man'l'avess'io avolto entro' capegli.7) ma lo fece nella sicurezza di denunciare il bisogno di nuovi confini intellettuali, di nuova pace, di una nuova cooperazione.

Non fu da poco riconoscere il valore di identicità di ogni essere umano, in una sorta di integrazione universale degli uomini di tutta Europa nella medesima figura di “essere umano”, misurata con la letteratura dei classici e dunque nell'appartenenza allo stesso sistema di valori e sentimenti.

Le distanze si accorciano anche proponendo una base culturale comune, e questo Petrarca fece, con la convinzione certa che solo la consapevolezza di nutrire gli stessi sentimenti potesse portare alla compartecipazione e a alla reale convivenza.

E, a poco meno di settecento anni di distanza, mi chiedo a quale base culturale un Europa sempre più aperta ad un mondo (oggi più che mai) veramente enorme debba riferirsi per proporsi costantemente come organismo unitario.

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1 Non posso non citare un articolo decisamente interessante, dal quale ho preso non pochi spunti, e rintracciabile all'indirizzo

2 Petrarca, Fam. I 5

4 RVF, VII 1-4

5 Enrico Fenzi, Petrarca, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 47

6 Ibid.

7 RVF, LII 10-14

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