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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 68 - 1 Aprile 2010 | 0 commenti

Laude a Natalia Ginzburg



Il mestiere di scrivere può far anche di un uomo un portatore di gravidanza; si viene inseminati dalla tradizione, (come gli dei ingravidano i mortali nelle storie antiche), si matura visceralmente una nuova opera, la si partorisce. Ma cosa s'intende, quando si parla di tradizione? La tradizione è davvero una? Io ne vedo almeno tre: la tradizione storico-letteraria, la tradizione popolare, la tradizione personale. Ma che cos'è la tradizione personale? In un certo senso è quella per cui certi detti di amici e parenti, o i detti che sentiamo per le strade, funzionano poi, col trascorrere del tempo, come “classici”; quest'ultima tradizione, quella che meno viene chiaramente riconosciuta, è la tradizione che più di tutte rende unico uno scrittore e il suo lavoro: se alla storia letteraria e al popolare tutti abbiamo accesso (si tratta poi del come gli elementi di queste due tradizioni vengono maneggiati, o come crescono durante la gestazione: come e raramente che cosa), all'esperienza personale ho accesso io e nessun altro. Io solo, in qualità di scrittore, posso testimoniare; è uno dei compiti dell'artista come membro di una società, di una “tribù”: la testimonianza.

Se, per fare un esempio, mio fratello non è uno scrittore ma dice spesso delle cose interessanti (interessanti per uno o un altro motivo), io che sono uno scrittore ho il compito di testimoniare l'espressione della sua intelligenza; ho il compito di cogliere quest'intelligenza, saperla vedere, saperla poi anche raccontare. Questo, contemporaneamente, porta sulla pagina un qualcosa che ha la forza di un “classico” ma con un effetto di novità, per chi legge dall'esterno di quel che prima s'è chiamato “tribù”. Ecco che ne può venir fuori un libro come il lessico famigliare di Natalia Ginzburg.

In questo romanzo la Ginzburg ci racconta i suoi “classici”, quelli che per lei e i suoi fratelli sono i “classici”, che basta dire una frase e subito si ride e ci s'intende anche dopo tanti anni; e lo fa sfiorando raramente il popolare (quando parla della famiglia Olivetti, della fuga di Filippo Turati, di Cesare Pavese all'Einaudi, del fascismo) e lo storico-letterario (quando dice di Proust). È stata capace di costruire un libro sulla base dei detti della sua famiglia: sembra che ogni aneddoto raccontato nel romanzo serva solo a introdurre una “frase storica”.

I detti del padre, ad esempio:

- Cos'ha Terni con Mario e la Paola da ciuciottare? – diceva mio padre a mia madre. – Stanno sempre lì in un angolo a ciuciottare. Cosa sono tutti quei fufignezzi?

I fufignezzi erano, per mio padre, i segreti; e non tollerava veder la gente assorta a parlare, e non sapere cosa si dicevano.

- Parleranno di Proust – gli diceva mia madre.

Mia madre aveva letto Proust, e lei pure, come Terni e la Paola, lo amava moltissimo; e raccontò a mio padre che era, questo Proust, uno che voleva tanto bene alla sua mamma e alla sua nonna; e aveva l'asma, e non poteva mai dormire; e siccome non sopportava i rumori, aveva foderato di sughero le pareti della sua stanza.

Disse mio padre:

- Doveva essere un tanghero!

(Lessico Famigliare, p. 53 ed. Einaudi)

Questo brano, oltre a render bene l'idea del ritmo dell'intero romanzo, è tecnicamente un pezzo di bravura: la tradizione personale si unisce con la tradizione popolare (quel che si sa della vita di Proust) e con la tradizione letteraria (essendo l'opera di Proust fondata sulla memoria e sull'oggetto che la scatena, come può essere un sapore o un odore – e in questo romanzo: una parola, una frase).

Altro esempio:

- Voi fate bordello di tutto. In questa casa si fa bordello di tutto – diceva sempre mia nonna, intendendo dire che, per noi, non c'era niente di sacro; frase rimasta famosa in famiglia, e che usavamo ripetere ogni volta che ci veniva da ridere su morti o su funerali.

(Lessico Famigliare, p. 9 ed. Einaudi)

E con la più grande semplicità Natalia Ginzburg ha partorito un'opera del genere, dopo forse un'intera vita di gestazione (“Nel corso della mia infanzia e adolescenza mi proponevo sempre di scrivere un libro che raccontasse delle persone che vivevano, allora, intorno a me. Questo è, in parte, quel libro” – dice); con la semplicità che forse solo una donna può dimostrare quando si tratta di un parto? Forse. Fatto è che ormai, dopo aver letto Lessico Famigliare, cosa sia la tradizione personale dovrebbe esser chiaro a tutti: non la si trova più soltanto mescolata alle altre due tradizioni, in piccole dosi, ma è la costituzione del libro intero. Non sono solo i ricordi, ma i ricordi-perla, quei ricordi che finiscono per essere dei classici. E a ognuno il cui mestiere sia quello di scrivere e che si trova inseminato, mescolando i geni delle tradizioni letteraria popolare e personale, dopo il Lessico Famigliare, grazie al lavoro di Natalia Ginzburg (forse la voce più schiettamente femminile che mi è mai capitato di leggere), può saper meglio quel che fa.

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