Il percorso di una bicicletta. Omaggio a Biagi e Moro
Conoscere, comprendere, giudicare, scegliere.
Trento.
Era da molto tempo che il foyer della Facoltà di Giurisprudenza non veniva invaso dagli studenti, accorsi martedì 16 marzo per sentir parlare di “Memoria e Diritto” direttamente dalla voce di Agnese Moro. Un luogo aperto, visibile anche dall'esterno grazie alle ampie vetrate e soprattutto capace di accogliere persone con voglia di dialogare per farle sentire libere di esprimersi su un tema purtroppo che non viene affrontato spesso tra le mura universitarie.
Il 16 marzo non è un giorno qualunque: 32 anni fa le Brigate Rosse rapivano Aldo Moro uccidendo i cinque uomini della scorta. Quei giovani però, non sono accorsi tanto per celebrare il politico condannato a morte dal cosiddetto Tribunale del Popolo, tragico simbolo di quegli anni, quanto piuttosto per ricordare il docente di diritto penale, il padre, lo statista, l'uomo vissuto nelle istituzioni e per le istituzioni.
Alla domanda: “Perché non c'è memoria degli anni di piombo?”, uno studente osservava come i nonni, che avevano vissuto le due guerre mondiali, facessero essi stessi in prima persona memoria di quelle esperienze, raccontando ai propri nipoti anche più volte lo stesso episodio. Diversa sembra la storia degli Anni Settanta, che forse non vuole essere raccontata ai nipoti curiosi quando dopo cena ci si ritrova tutti intorno al tavolo.
Viene quasi da pensare che non sia solo lo Stato a non volersi ricordare di quegli anni, ma siano anche le stesse persone che li hanno vissuti a non volerli condividere, non permettendo così ai ricordi personali di diventare memoria collettiva. Alcuni si chiedevano, colti da una frustrazione che spaventa se palesata da un ventenne, come si possa avere memoria di eventi sui quali non si conosce ancora la verità, e come si possa fare memoria di fronte a questo ostacolo. Un docente presente ha voluto suggerire quella che, secondo lui, può essere la strada: studiare, avere delle idee proprie, diffidare delle rigide ideologie. Dal canto suo, Agnese Moro ha declinato così il significato più profondo del concetto di Memoria: conoscere, comprendere, giudicare, scegliere.
Bologna.
Venerdì 19 marzo, sotto l'orologio fermo alle 10.25 del 2 agosto 1980, eravamo alla Stazione di Bologna, circondati da persone e dalle loro biciclette, presenti per ricordare il professor Marco Biagi e cercare così, a modo loro, di “fare memoria”.
Nemmeno il 19 marzo è un giorno qualunque. Otto anni fa, le Nuove Brigate Rosse uccisero il professore, consulente del Ministero del Lavoro, davanti al portone di casa.
La Staffetta per ricordarlo ha ripercorso il medesimo tragitto che Marco Biagi, dopo una giornata di lezioni all'Università di Modena e Reggio Emilia, compiva per tornare a casa, da Marina, Francesco e Lorenzo.
Accanto a via Valdonica, nella piazzetta intitolata al professore, molte persone si sono ritrovate per ricordare in modo semplice un uomo semplice, ascoltando alcune poesie e cantando sulle note di qualche canzone.
Sul muro di casa Biagi erano appoggiate le corone di fiori portate dalle Autorità, che, per quella sera, lo hanno ricordato in maniera silenziosa e discreta, confuse tra la folla.
Un giorno, magari tra 20 anni, quando un figlio chiederà a un padre perché uccisero Aldo Moro e Marco Biagi, può darsi che non ci sarà ancora una Verità da raccontare; eppure si potrà affermare con certezza che, allora come oggi, una vita spesa per migliorare le cose, non è una vita sacrificata invano.