La rete di Urizen
La rete di Urizen
vecchi metodi di preservazione sociale
vecchi metodi di preservazione sociale
“Perswasion was in vain, | For the ears of the inhabitants | Were wither'd & deafn'd & cold | And their eyes could not discern | They brethren of the other cities”1
William Blake, The first book of Urizen, Chapter IX
Ci sono persone che si contano sulla punta delle dita ed hanno nomi così spinosi che potrebbero fare breccia nel vostro ricordo. Tra i tanti, se ne possono proporre tre: Aldo Bianzino, Hassan Nejl, Stefano Cucchi.
I luoghi rispettivi di cui si potrebbe parlare sono il carcere di Perugia, il Cie di Torino e il carcere di Roma, il Regina Coeli; poi c'è un quarto, forse più scavato nel ricordo, più annebbiato, ma raggrumato di così tanta incredulità da non poter non affiorare oltre la superficie della memoria: Bolzaneto.
Partiamo da una precisazione: solo il nome dei Stefano Cucchi è esterno al principale documento a cui si fa riferimento, tutti gli altri sono nomi e luoghi citati nel rapporto annuale 2009 di Amnesty International sull'osservanza dei diritti umani in Italia, più precisamente sotto le voci “Tortura e altri maltrattamenti”.
Il primo dubbio potrebbe nascere da una questione di pura valenza letterale e metterebbe in gioco la nostra capacità intima di accettare che Amnesty necessiti di un paragrafo che porta questo nome per definire l'analisi dei diritti umani in Italia. Il secondo dubbio si insinua di pari passo, tra i nostri occhi e le mura di un carcere-simbolo, le cui mura sono impenetrabili alla vista ma dall'interno del quale cominciamo a percepire dei rumori che ci spaventano, non troppo, ma nella misura in cui spaventa ciò che viene diligentemente nascosto.
Si potrebbe ammettere che l'esistenza dell'istituzione carcere sia essenziale nella sua funzione punitiva-riabilitativa-deterrente, una e trina, ma in parallelo a questa il carcere si fa simbolo di ambiguità nel momento in cui diviene il luogo dove le leggi dello stato si svuotano di ogni valore e di ogni controllo.
Bianzino e Cucchi, fermati per possesso di droga, spegneranno gli occhi all'interno di un carcere. Nejl, cittadino marocchino, viene lasciato morire senza cure mediche adeguate nel Cie dov'era recluso. Dopo la denuncia dei fatti di Bolzaneto agenti di polizia, agenti di custodia e medici vengono condannati per “abuso d'ufficio e maltrattamenti” nei confronti dei manifestanti arrestati durante le proteste del G8 di Genova.
Il carcere si confonde con un territorio franco, dove la società segrega le sue paure, dove la mente claustrofilica sa concretizzarsi in mura e cancelli: la necessità è quella di definire se stessi tramite “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, attraverso l'identificazione degli elementi estranei e l'eliminazione degli stessi.
Presunti spacciatori/tossici, migranti, prostitute, manifestanti: prima ancora che varietà sociale pericolosa per un fantomatico ordine civile, sono più semplicemente soggetti che impaurano poiché sembrano mettere a rischio il nostro ordine morale ed etico: così lo Stato si fa bestia e le sue armi divengono le stesse che normalmente punisce all'infuori del carcere. Tutto però deve avvenire in sordina perché raramente la dignità dell'uomo è disposta ad accettare la decadenza della propria umanità.
Amnesty definì i fatti di Genova del 2004 “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale”. Questa sospensione avviene tutt'ora: se ne sentono le rovine a gocce fuoriuscire dalle nostre carceri, in un devastante silenzio istituzionale, tutte caratterizzate dalla negazione mentale “dell'altro”, del pericolo, dell'estraneo. Siamo così impauriti da non saper più riconoscere i nostri fratelli.
L'opera di Blake si chiude così: “And the salt ocean rolled englob'd”. In che misura siamo disposti a sopportare l'oceano di sale che chiude l'orizzonte agli occhi?
I luoghi rispettivi di cui si potrebbe parlare sono il carcere di Perugia, il Cie di Torino e il carcere di Roma, il Regina Coeli; poi c'è un quarto, forse più scavato nel ricordo, più annebbiato, ma raggrumato di così tanta incredulità da non poter non affiorare oltre la superficie della memoria: Bolzaneto.
Partiamo da una precisazione: solo il nome dei Stefano Cucchi è esterno al principale documento a cui si fa riferimento, tutti gli altri sono nomi e luoghi citati nel rapporto annuale 2009 di Amnesty International sull'osservanza dei diritti umani in Italia, più precisamente sotto le voci “Tortura e altri maltrattamenti”.
Il primo dubbio potrebbe nascere da una questione di pura valenza letterale e metterebbe in gioco la nostra capacità intima di accettare che Amnesty necessiti di un paragrafo che porta questo nome per definire l'analisi dei diritti umani in Italia. Il secondo dubbio si insinua di pari passo, tra i nostri occhi e le mura di un carcere-simbolo, le cui mura sono impenetrabili alla vista ma dall'interno del quale cominciamo a percepire dei rumori che ci spaventano, non troppo, ma nella misura in cui spaventa ciò che viene diligentemente nascosto.
Si potrebbe ammettere che l'esistenza dell'istituzione carcere sia essenziale nella sua funzione punitiva-riabilitativa-deterrente, una e trina, ma in parallelo a questa il carcere si fa simbolo di ambiguità nel momento in cui diviene il luogo dove le leggi dello stato si svuotano di ogni valore e di ogni controllo.
Bianzino e Cucchi, fermati per possesso di droga, spegneranno gli occhi all'interno di un carcere. Nejl, cittadino marocchino, viene lasciato morire senza cure mediche adeguate nel Cie dov'era recluso. Dopo la denuncia dei fatti di Bolzaneto agenti di polizia, agenti di custodia e medici vengono condannati per “abuso d'ufficio e maltrattamenti” nei confronti dei manifestanti arrestati durante le proteste del G8 di Genova.
Il carcere si confonde con un territorio franco, dove la società segrega le sue paure, dove la mente claustrofilica sa concretizzarsi in mura e cancelli: la necessità è quella di definire se stessi tramite “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, attraverso l'identificazione degli elementi estranei e l'eliminazione degli stessi.
Presunti spacciatori/tossici, migranti, prostitute, manifestanti: prima ancora che varietà sociale pericolosa per un fantomatico ordine civile, sono più semplicemente soggetti che impaurano poiché sembrano mettere a rischio il nostro ordine morale ed etico: così lo Stato si fa bestia e le sue armi divengono le stesse che normalmente punisce all'infuori del carcere. Tutto però deve avvenire in sordina perché raramente la dignità dell'uomo è disposta ad accettare la decadenza della propria umanità.
Amnesty definì i fatti di Genova del 2004 “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale”. Questa sospensione avviene tutt'ora: se ne sentono le rovine a gocce fuoriuscire dalle nostre carceri, in un devastante silenzio istituzionale, tutte caratterizzate dalla negazione mentale “dell'altro”, del pericolo, dell'estraneo. Siamo così impauriti da non saper più riconoscere i nostri fratelli.
L'opera di Blake si chiude così: “And the salt ocean rolled englob'd”. In che misura siamo disposti a sopportare l'oceano di sale che chiude l'orizzonte agli occhi?
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1“Parlare era inutile, | perché le orecchie degli abitanti | erano rinsecchite & sorde & fredde, | ed i loro occhi non potevano distinguere | i loro fratelli di altre città”