La Lega al servizio dei poteri forti in tempi di fantapolitica
Rendere interessanti ed originali gli articoli di commento ai fatti della politica è una capacità che si acquisisce con l'esperienza e preferibilmente con le frequentazioni, perlomeno di sfuggita, delle segrete stanze del potere politico ed economico sparse nelle diverse capitali d'Italia. Riuscendo in questo intento, L'Arengo del Viaggiatore diventerebbe un giornale robusto ed inserito nella stampa nazionale. Pur non stando così le cose, nulla toglie che la mia seguente opinione, pur non suffragata dall'aver orecchiato gossip di palazzo, possa trovare qualche corrispondenza con l'andazzo delle cose. D'altra parte la politica è come il calcio: tutti possiamo giocarne la versione fanta e questa è la mia squadra.
La Lega Nord nasce come movimento di rottura dell'unità nazionale all'inizio degli anni Ottanta. Il genio visionario del suo leader storico Umberto Bossi scommette sull'Italia del Nord, e da bravo ex comunista rielabora la lotta di classe marxista in chiave geografica e regional-nazionale. All'interno del suo movimento convivono diverse ispirazioni politiche, che in comune nutrono l'avversione verso il sistema politico italiano romano-centrico e trovano spunto nei limiti della storia d'Italia per costruirsi nei ricchi territori del settentrione una rendita di consenso. Cambia la prospettiva dei partiti politici, che da strumenti di partecipazione e progresso che ambivano ad essere, si riducono a centri di gestione e smistamento del potere: da Roma al Nord, dai partiti alla società civile.
Nei fatti la Lega Nord costituisce un partito organizzato e radicato, che non ha mai perso occasione per indebolire il potere politico e puntellare quello dei potentati esterni alla rappresentanza democratica.
Dapprima alfiere della lotta contro la Prima Repubblica e i suoi partiti popolari, ha distrutto il primo Berlusconi appoggiando la tecnocrazia di Lamberto Dini e consentendo la vittoria al boiardo Romano Prodi, presentandosi separato dal Polo delle Libertà nel 1996. Esaurita la funzione di risanamento finanziario, spartita la Telecom e poste le basi per un indebolimento dei lavoratori nelle relazioni sindacali, è tornato in auge il berlusconianesimo tremontiano. Fino a che, adesso, l'eccesso di potere nelle mani del Cavaliere lo rende di nuovo il nemico da abbattere.
Mentre la morsa mediatica scatenata da Repubblica e seguita dal Corriere ha scoperto il fianco del premier, il comportamento leghista ricalca quello del 1996 quando arrivò a parlare di secessione alimentando il proprio consenso particolare a scapito della vittoria del centro destra. Una tenaglia sta stritolando Berlusconi: per uscirne egli può scaricare la Lega partecipando alla realizzazione di un governo tecnico (per la prima), oppure scaricare gli altri alleati e isolarsi dall'opinione pubblica costruita dai media padronali su un consenso politicamente corretto filo-clericale e moralista.
Il vero limite del nostro premier è che non ha nè una visione nè un progetto politico in grado di sollevarlo e di spingerlo a dare battaglia: non è nient'altro che uno degli altri poteri tra i diversi che si danno battaglia sulla scena nazionale. E adesso sta soccombendo.
Potrebbe trovare nuova rabbia da gettare nella mischia se la sentenza della Corte bocciasse il Lodo Alfano, ma rischierebbe di trovarsi a fare il mastino ringhioso e sconfitto rispetto al brillante condottiero che ha rappresentato con le sue vittorie. La morsa si sta chiudendo e l'unica strada che avrà Silvio per non mollare sarà quella di resistere al Governo (perchè il potere logora chi non ce l'ha), e di sfidare il riottoso Presidente della Camera ad assumersi la responsabilità della sfiducia e di un nuovo partito politico.
Silvio può vincere, ma deve comportarsi da sportivo (in effetti avendola lui preferita al calcio, si potrebbe immaginare che ritenga adesso la politica il gioco più bello del mondo) e sfidare a viso aperto i poteri che lo contrastano: da quelli filo-americani che non apprezzano la sua politica estera filo-russa e libica, a quelli tradizionalmente a lui avversi, a quelli che vedono esaurita la sua funzione destruens del sistema politico e non ne identificano un'altrettanto significativa capacità costruens.
A stringere sempre più stretto il cappio sarà il suo più fedele alleato, la Lega Nord, che alzerà la posta per le candidature alle regionali sulla scia di parole d'ordine sempre più eccessive ed al limite della legalità costituzionale, che metteranno i moderati in fuga verso il Partito della Nazione di Casini, Fini, Rutelli e Montezemolo.
Can che abbaia non morde, ma rimane legato al guinzaglio del padrone.