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Scritto da nel Internazionale, Numero 61 - 1 Luglio 2009 | 1 commento

Cosa ha ucciso il Socialismo Europeo?

Di tutte le domande che possono sorgere dopo i risultati delle elezioni Europee, ce n’è una che agli occhi di un militante pare più interessante delle altre: com’è possibile che in un momento di crisi economica – la crisi della finanza – proprio i partiti socialisti (gli appartenenti all’ormai defunto Partito Socialista Europeo) escano sconfitti dalle urne? Che ne è del punto più tradizionalmente di proprietà della sinistra, l’affidamento alla mano visibile dello Stato per proteggere i cittadini dalle avversità del capitalismo? Senza distinzione tra governo e opposizione, quasi dappertutto i Socialisti sono in ginocchio esattamente nel momento che avrebbe dovuto segnarne l’apogeo.

Sono l’ignoranza e la disperazione a spingere i cittadini verso il populismo destrorso, è il commento più gettonato dai socialisti delusi. Con più probabilità, sono l’ignoranza e la disperazione a spingere i socialisti verso questo inutile pensiero.

Per avvicinarsi ad una risposta degna di tale nome, poniamoci un’ulteriore domanda: perché un elettore oggi dovrebbe votare i Socialisti Europei? Cosa offrono questi partiti di speciale nei vari Paesi? Niente di originale, questo è il punto. I partiti di ispirazione socialista non possiedono più temi propri, per i quali siano reputabili come la formazione politica di riferimento, per credibilità degli impegni ed efficacia nel loro mantenimento. Keynesiani sono diventati tutti, più o meno quanto tutti sono diventati liberali, all’ambientalismo avevano pensato i Verdi circa 30 anni fa, per essere laici o libertari non è necessario essere socialisti, di egualitarismo e pacifismo si è appropriata più credibilmente la Sinistra comunista.

Sfrattati dai propri temi tradizionali e parvenues nelle ideologie contemporanee, ecco come si presentano i partiti Socialisti agli elettori. In che circostanze, dunque, è morto il Socialismo Europeo? All’assalto del Fort Apache della politica contemporanea, ci si è presentati armati di fionde e cerbottane, speranzosi che il mito dell’identità socialista compisse il miracolo di rievocare una coscienza comune in una “classe” ormai dispersa. Mentre una buona parte di quadri socialisti si preoccupava di accreditarsi come interlocutore affidabile nei salotti buoni della finanza e dell’imprenditoria in giro per il mondo, in un’assurda rincorsa allo Zeitgeist liberale e gaudentemente globalizzante, il tradizionale elettorato socialista di riferimento vedeva i suoi interessi e i suoi valori meglio rappresentati da altri.

Affascinata dal mantra del libero commercio internazionale e dell’apertura di ogni frontiera economica e culturale, la Sinistra "riformista" non ha saputo gestirne le ripercussioni proprio sui molti di cui vorrebbe essere portavoce: quelli i cui lavori sono esposti alla competizione internazionale; quelli la cui conoscenza non basta a trovare un impiego adeguato perché sono le conoscenze che contano; quelli per cui il multi-culturalismo non è solo un gioioso girotondo interrazziale ma un quotidiano confronto sulla strada; quelli per cui la laicità – oltre che una conquista della cultura Occidentale – è una imprescindibile garanzia di pace proprio nella convivenza di più religioni sullo stesso territorio.

In questo quadro, quanto conta ancora l’affermazione del ruolo dello Stato? Con una mano i governi Socialisti hanno contribuito alla dissoluzione degli strumenti di controllo sull’economia, rendendo il costo del lavoro uno strumento di competizione e la quadratura del bilancio un dovere incontrovertibile; con l’altra non possono più rivendicarne l’utilizzo ora che il meccanismo riflette i suoi effetti più dolorosi. Cosa ha dunque ucciso il Socialismo se non questa adesione incondizionata al liberalismo internazionalista e la sottovalutazione dei suoi effetti sul suo stesso elettorato? Come si può ancora essere credibili nella critica al capitalismo selvaggio, quando fino a ieri sera i maggiori leader hanno lisciato il pelo ai gruppi affaristici alla ricerca del definitivo sdoganamento da parte della “nave dei potenti”?

Se, come affermava Bobbio, è la tensione verso l’uguaglianza l’essenziale carattere della Sinistra, per la sua ricostruzione il Socialismo Europeo deve fare i conti con le condizioni primarie per cui questa si possa ottenere: non con l’affermazione dell’individualismo dell’impresa, ma con la ricostituzione di una comunità di solidarietà, solidamente radicata in un territorio ed in una cultura; non con l’illusione del progresso senza limiti, ma con la consapevolezza della finitezza tanto delle risorse naturali ed economiche tanto della capacità razionale umana; non con le lezioni nelle grandi università, ma con la presenza fisica sul territorio.

Prima che il populismo di destra non consolidi definitivamente la sua egemonia culturale, possibilmente.

(25 giugno 2009)

1 Commento

  1. Condivido l'analisi su uno dei pricipali passi falsi dei socialisti, l'adesione incondizionata al liberalismo internazionalista. Tuttavia se i temi dell'ambiente, dell'egualitarismo e del pacifismo sono punti cardine di altre aree partitiche (sinistra “vera” e verdi), ciò non vuol dire che non possano rappresentare punti di partenza per rendere nuovamente “umani” i partiti socialisti europei.

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