VI – A Corinto! si disse
…e a Corinto – gli fa Odisseo – …mi basta, a me, che andiamo a Corinto e torniamo – si decide così a lasciare per la prima volta la sua isola Odisseo, e il Mediterraneo, con Zenone il suo unico amico per mettersi nel continente: una terra per lui sconfinata – e affrontare Sisifo.
Cammina che ti cammina arrivano allora Zenone e Odisseo a Delfi, Vieni – gli dice Zenone – ti faccio conoscere uno degli uomini più famosi e potenti d'Acaia – e lo porta dall'oracolo di Apollo, un vecchio sacerdote. Ecco che arriva Cefalo – annuncia subito l'oracolo, tutto sornione – con i piedi feriti per il lungo viaggio, travestito da pezzente, …il principe ramingo! – e se la ride.
E tu cosa saresti? – gli fa Odisseo – un indovino, sei? gl'indovini li disprezzo, mi fanno venire la malinconia se devo dirla tutta, ma tu m'incuriosisci, vecchietto, e voglio proprio sentire cos'hai da dire – l'oracolo lo guardava dritto negli occhi, come leggendo lì, poi tutto serissimo d'un colpo: Tu ucciderai tuo padre e per questo otterrai un regno ma dai tuoi fratelli verrà dal mare la fine tua e della tua gente – Odisseo pensa a Laerte, che vabbé che non lo può vedere, s'è possibile nemmeno da lontano, però che mai lo ucciderebbe: Tu sbagli persona, indovino bello, ma terrò a mente la tua profezia ogni volta che avrò questa voglia che tu dici, questo pensiero mi rasserenerà e non lo farò, di uccidere mio padre, e tutti sapranno che il grande oracolo di Delfi non sempre c'azzecca. E poi non ho fratelli – Zenone teorizzava sulle profezie che si autodeterminano quando vengono dette, e l'oracolo se la rideva tra sé: Dove sei diretto nel tuo andare, principe di Itaca, con quell'arco in spalla?
A Troia – gli dice Odisseo.
Tu menti e dici anche la verità – gli fa l'oracolo, ridacchiando – …è a Troia che già ti portano questi passi, è vero, e sarai anche uno degli ultimi a vederla così com'è: Troia brucerà a causa di un uomo della tua stirpe, che si fa chiamare Odisseo, che nel sangue ha l'inclinazione agl'inganni… – e ridacchia, l'oracolo.
Io, sono Odisseo, e non ho nessuna intenzione di distruggere nessuna città, e soprattutto Troia, …vero Zeno? – seguiva l'oracolo a ridacchiare, Zenone pure rideva: Quindi due pezzenti distruggeranno Troia e le sue mura inespugnabili – dice, ridendo di cuore – e dove lo leggi scritto? – gli dice all'oracolo – te l'ha forse raccontato qualche aedo? O è Apollo che te lo sussurra direttamente nell'orecchio?
Lo leggo negli occhi di quest'uomo – sono le ultime parole che l'oracolo si degna di pronunciare, serio come la peste. E così se ne vanno per la loro strada Zenone e Odisseo, diretti a Corinto per la via d'Atene.
Come straccioni percorrono le strade, e si ritrovano a una gara di rapsodi, che ci partecipava tra gli altri un satiro bruttino e leggermente deforme e monco di un arto inferiore. Si vantava di avere un uccello che gli prende il posto di una gamba che in guerra glel'hanno amputata. Era vero. Un lungo uccello con sandali e tutto. Mentre i suoi rivali nella gara di poesia se ne inventano una dietro l'altra per far piangere, questo satiro invece lui come apre la bocca a dir le sue sconcezze tutti ridono, e poi c'è questo fatto che come gli vien meno l'ispirazione poetica che lo mantiene dritto in piedi, gli s'ammoscia una gamba e cade faccia a terra. Questo fa molto ridere. Odisseo e Zenone tanto rimangono affascinati da questo satiro che si mettono in testa di portarlo con sé fino a Itaca – se li avesse accompagnati a Corinto, prima.
Lontani dai villaggi e dalle città dormono nei boschi, avanzando poco alla volta finchè sulle rive del golfo di Corinto arrivano a un paese dov'è in esilio l'erede legittimo al trono di Sparta: Tindaro scacciato dal fratello – e dove Odisseo gli s'annebbia per la prima volta il cervello al vedere una femmina. Che la vedono per strada e Odisseo si dimentica in un colpo solo del suo proposito di vendetta e dell'anonimato che duramente avevano mantenuto in tutto quell'andare; le s'avvicina e la ferma: Sono Odisseo, principe di Itaca, figlio di Laerte, e ho fatto un lungo viaggio solo per conoscerti – dice.
C'aveva questa una giovinezza disturbante, i vestiti di buona manifattura, una criniera bionda e ricciola di nobile cavallerìa, che poi vuole il caso ch'è anche la figlia di Tindaro: la principessa Elena, la più bella donna mai nata sulla terra.