Anthony Giddens: una Terza Via per il Sud America
La recente crescita della sinistra in America Latina può essere interpretata come un avvicinamento alla “terza via”, che lei stesso identifica con Lula e il suo intento di combinare il programma “Hambre Zero” (fame zero) a una stretta stabilità fiscale?
Sì. In termini generali la “terza via” si riferisce semplicemente a quello che potremmo chiamare socialismo responsabile, inteso ad assicurare obiettivi di centro-sinistra, come sono la solidarietà, la protezione dei più poveri e vulnerabili o il tentativo di ridurre le ineguaglianze sociali; e allo stesso tempo saper rispondere a stimoli esteri senza pretendere che il resto del mondo sia inesistente. Per questo si necessita un’economia competitiva. Sì, si necessita una disciplina fiscale relativamente equilibrata perchè necessitiamo forme di governo che si possano mantenere e generare autonomamente. Però ripeto, la terza via non è niente più che un termine, quelli a cui non piace possono anche smetterla di usarlo sostituendolo con qualcosa come “socialismo responsabile” o moderna democrazia sociale, o qualunque sia il termine più appropriato per descrivere queste politiche.
Considerando i recenti accordi commerciali tra il mondo occidentale e la Cina, e sapendo che i salari dell’Asia orientale sono minori che in America Latina, come potranno le economie latino-americane riuscire a competere contro il vantaggio comparato asiatico? E questi trattati rischiano di influenzare i mercati sud amerciani, fortemente dipendenti dal commerico statunitense?
Bene, cominciamo con il considerare che l’economia mondiale è molto cambiata negli utimi anni, appoggiandosi più che mai sui servizi. La produzione non tornerà a essere il caposaldo dell’economia, anche in India o in Cina. Tuttavia, credo che India e Cina non solo siano competitive in termini di salari; penso sia un errore ridurre la questione a questo unico fattore. In India per esempio c’è il fenomeno Bangalore, con programmi più sofisticati che nel mondo occidentale. Più che manodopera a basso costo, il vero vantaggio comparato sta nella sua conversione in abilità, specializzazione ed educazione. È chiaro che, dal momento che Cina e India si stanno sviluppando, anche i loro salari sono destinati a crescere. Per questo i paesi latino americani devono saper competere nella capacità di sfruttare al meglio le risorse umane. Non c’entrano solo le risorse naturali o una mano d’opera a basso costo. Viviamo in un mondo intrinsecamente competitivo, e ciò può portare molti vanatggi all’America Latina. Il commercio è sempre una relazione a doppio taglio, e per questo la crescita asiatica non implica necesariamente un impedimento per le altre regioni. Non sappiamo che succederà in futuro, ma credo che i paesi latino americani non dovrebbero cercare di competere nell’ambito dei costi salariali.
Durante gli anni ’90 ci fu una tendenza molto forte a dollarizzare l’economia sudamericana cercando di acquisire credibilità per attirare i capitali stranieri. Con la continua svalutazione del dollaro, tuttavia, i mercati latino americani cominciano ad allontanarsi da questa politica per appoggiarsi a una propria moneta. Come pensa che reagiranno i capitali stranieri provenienti dal mondo occidentale?
Penso che, specialmente dopo la crisi argentina, la politica monetaria sia cambiata notevolmente. Dubito che il processo di dollarizzazione continui, a causa della minor fiducia riposta in questa moneta. Da pochi anni è possibile che il dollaro non sia più la moneta di riferimento, soprattutto se i debiti staunitensi continueranno a crescere. Credo che i paesi sud americani debbano seguire una loro strada indipendente, perchè si possono anche capire le ragioni della passata dollarizzazione ma si possono altrettanto osservare le conseguenze. In un futuro l’America Latina potrebbe tentare la strada di una moneta comune, una specie di Euro, o addirittura sostituire l’Euro al Dollaro; tuttavia il continente latino è alquanto variegato ed i suoi paesi probabilmente avranno preferenze non omogenee.
Si dice che la globalizzazione stia arrestando l’importanza degli stati Nazione, rafforzando da un lato le istituzioni sovra-nazionali, e dall’altro rinforzando l’autorità dei governi regionali. Lei crede che eventualmente un’unione latino americana possa portare agli stessi benefici di cui godono oggi i paesi europei?
Beh, prima di tutto bisognerebbe essere cauti davanti ad affermazioni come queste. Certamente le forze globali influenzano la struttura sovrana nazionale e le identità nazionali, principalmente perchè certi tipi di potere, come i poteri economici alla base del Keynesianesimo, non funzionano altrettanto efficacemente in un contesto globalizzato. Tuttavia la globalizzazione provoca altri effetti; sorgono forze che stimolano la localizzazione, con una specie di rivendicazione delle culture locali. Lo Stato Nazione rimane un punto fondamentale nelle unioni (..) e continuerà a essere una istituzione fondamentale. Molte delle cose che succederanno in America Latina dipenderanno da come le grandi nazioni si comporteranno e dalla loro disponibilità a una collaborazione reciproca. Anche nella Unione Europea le nazioni sono tuttora molto importanti. Io credo e appoggio l’Unione Europea, e penso che altre parti del mondo seguiranno un percorso simile. Questo comporterà benefici in termini di stabilità economica; non solo, le Unioni incentivano una notevole modernizzazione in quei Paesi che, per entrare in una Unione, sono disposti a rispettare i criteri richesti per la loro accettazione. Se guardiamo l’Ucraina e la Turchia e le loro aspirazioni, notiamo che stanno avvicinandosi a quel livello di sviluppo richiesto per entrare nella Unione Europea. Niente di tutto ciò sta avendo luogo in Sud America, però credo che sia qualcosa che le persone lotteranno per conseguire. In Sud America la questione è problematica perchè esistono ancora i classici problemi di bilanciamento di potere, come le dispute tra Brasile, Argentina e Cile, e questo significa che i Paesi non sono ancora pronti a lavorare assieme per un esito comune.
Fino a che punto lei crede che paesi come il Perù che tuttora ereditano molte tradizioni siano in grado di rispondere strutturalmente alla globalizzazione? Potremmo dire che il tentativo di modernizzazione istituzionale verso una propria social democrazia non è riuscito a completarsi a causa di molti aspetti tipici della società tradizionale?
Beh, la tradizione non è necessariamente una barriera alla modernizzazione, che alcune volte si è osservata in contesti molto tradizionali. Come nel caso dell’Irlanda che, dalle sue forti tradizioni familiari ed economiche è divenuta la tigre economica
europea, nonchè uno dei paesi più ricchi al suo interno. Anche in Perù la modernizzazione nel rispetto della tradizione è possibile, ma alcuni requisti, come il miglioramento delle condizioni della donna sono fondamentali allo sviluppo. La donna deve essere liberata dal suo ruolo domestico per entrare nel mercato del lavoro. Ci sono quindi tradizioni che devono essere superate.
Il Perù, come altri paesi sudamericani, è un Paese culturalmente ed etnicamente variegato. Fino a che punto crede che questa diversità sia responsabile della mancanza di coesione sociale? Cosa si può fare per rafforzare una identità comune così da poter lavorare assieme e allo stesso tempo trarre vantaggio da queste diversità?
Chiaramente l’America Latina è un continente vastissimo con diversità sociali. Molte tradizioni storiche, molti miscugli culturali. Però tutti i Paesi al mondo hanno affrontato situazioni simili.
Nelle diversità i programmi sociali per combattere la povertà sono molto simili. Normalmente guardano alla condizione della donna, alla educazione, a una serie di politiche atte ad aiutare le comunità locali a uscire da situazioni dove sono presenti diversi fattori che escludono questa gente dal resto della società.
Non è però possibile attuare questi programmi elevando milioni di persone dalla povertà senza uno sviluppo economico sostenibile che le coinvolga direttamente.
Altri Peasi del mondo hanno ottenuto risultati importanti nella lotta contro la povertà. Credo che il destino di questo continente dipenderà dai paesi grandi, come Messico, Brasile ed Argentina. Tuttavia in un contesto globalizzato anche le poltiche migliori possono fallire se il contesto esterno è sfavorevole, e pertanto il futuro dell’America Latina non è nelle sue uniche mani.
Sì. In termini generali la “terza via” si riferisce semplicemente a quello che potremmo chiamare socialismo responsabile, inteso ad assicurare obiettivi di centro-sinistra, come sono la solidarietà, la protezione dei più poveri e vulnerabili o il tentativo di ridurre le ineguaglianze sociali; e allo stesso tempo saper rispondere a stimoli esteri senza pretendere che il resto del mondo sia inesistente. Per questo si necessita un’economia competitiva. Sì, si necessita una disciplina fiscale relativamente equilibrata perchè necessitiamo forme di governo che si possano mantenere e generare autonomamente. Però ripeto, la terza via non è niente più che un termine, quelli a cui non piace possono anche smetterla di usarlo sostituendolo con qualcosa come “socialismo responsabile” o moderna democrazia sociale, o qualunque sia il termine più appropriato per descrivere queste politiche.
Considerando i recenti accordi commerciali tra il mondo occidentale e la Cina, e sapendo che i salari dell’Asia orientale sono minori che in America Latina, come potranno le economie latino-americane riuscire a competere contro il vantaggio comparato asiatico? E questi trattati rischiano di influenzare i mercati sud amerciani, fortemente dipendenti dal commerico statunitense?
Bene, cominciamo con il considerare che l’economia mondiale è molto cambiata negli utimi anni, appoggiandosi più che mai sui servizi. La produzione non tornerà a essere il caposaldo dell’economia, anche in India o in Cina. Tuttavia, credo che India e Cina non solo siano competitive in termini di salari; penso sia un errore ridurre la questione a questo unico fattore. In India per esempio c’è il fenomeno Bangalore, con programmi più sofisticati che nel mondo occidentale. Più che manodopera a basso costo, il vero vantaggio comparato sta nella sua conversione in abilità, specializzazione ed educazione. È chiaro che, dal momento che Cina e India si stanno sviluppando, anche i loro salari sono destinati a crescere. Per questo i paesi latino americani devono saper competere nella capacità di sfruttare al meglio le risorse umane. Non c’entrano solo le risorse naturali o una mano d’opera a basso costo. Viviamo in un mondo intrinsecamente competitivo, e ciò può portare molti vanatggi all’America Latina. Il commercio è sempre una relazione a doppio taglio, e per questo la crescita asiatica non implica necesariamente un impedimento per le altre regioni. Non sappiamo che succederà in futuro, ma credo che i paesi latino americani non dovrebbero cercare di competere nell’ambito dei costi salariali.
Durante gli anni ’90 ci fu una tendenza molto forte a dollarizzare l’economia sudamericana cercando di acquisire credibilità per attirare i capitali stranieri. Con la continua svalutazione del dollaro, tuttavia, i mercati latino americani cominciano ad allontanarsi da questa politica per appoggiarsi a una propria moneta. Come pensa che reagiranno i capitali stranieri provenienti dal mondo occidentale?
Penso che, specialmente dopo la crisi argentina, la politica monetaria sia cambiata notevolmente. Dubito che il processo di dollarizzazione continui, a causa della minor fiducia riposta in questa moneta. Da pochi anni è possibile che il dollaro non sia più la moneta di riferimento, soprattutto se i debiti staunitensi continueranno a crescere. Credo che i paesi sud americani debbano seguire una loro strada indipendente, perchè si possono anche capire le ragioni della passata dollarizzazione ma si possono altrettanto osservare le conseguenze. In un futuro l’America Latina potrebbe tentare la strada di una moneta comune, una specie di Euro, o addirittura sostituire l’Euro al Dollaro; tuttavia il continente latino è alquanto variegato ed i suoi paesi probabilmente avranno preferenze non omogenee.
Si dice che la globalizzazione stia arrestando l’importanza degli stati Nazione, rafforzando da un lato le istituzioni sovra-nazionali, e dall’altro rinforzando l’autorità dei governi regionali. Lei crede che eventualmente un’unione latino americana possa portare agli stessi benefici di cui godono oggi i paesi europei?
Beh, prima di tutto bisognerebbe essere cauti davanti ad affermazioni come queste. Certamente le forze globali influenzano la struttura sovrana nazionale e le identità nazionali, principalmente perchè certi tipi di potere, come i poteri economici alla base del Keynesianesimo, non funzionano altrettanto efficacemente in un contesto globalizzato. Tuttavia la globalizzazione provoca altri effetti; sorgono forze che stimolano la localizzazione, con una specie di rivendicazione delle culture locali. Lo Stato Nazione rimane un punto fondamentale nelle unioni (..) e continuerà a essere una istituzione fondamentale. Molte delle cose che succederanno in America Latina dipenderanno da come le grandi nazioni si comporteranno e dalla loro disponibilità a una collaborazione reciproca. Anche nella Unione Europea le nazioni sono tuttora molto importanti. Io credo e appoggio l’Unione Europea, e penso che altre parti del mondo seguiranno un percorso simile. Questo comporterà benefici in termini di stabilità economica; non solo, le Unioni incentivano una notevole modernizzazione in quei Paesi che, per entrare in una Unione, sono disposti a rispettare i criteri richesti per la loro accettazione. Se guardiamo l’Ucraina e la Turchia e le loro aspirazioni, notiamo che stanno avvicinandosi a quel livello di sviluppo richiesto per entrare nella Unione Europea. Niente di tutto ciò sta avendo luogo in Sud America, però credo che sia qualcosa che le persone lotteranno per conseguire. In Sud America la questione è problematica perchè esistono ancora i classici problemi di bilanciamento di potere, come le dispute tra Brasile, Argentina e Cile, e questo significa che i Paesi non sono ancora pronti a lavorare assieme per un esito comune.
Fino a che punto lei crede che paesi come il Perù che tuttora ereditano molte tradizioni siano in grado di rispondere strutturalmente alla globalizzazione? Potremmo dire che il tentativo di modernizzazione istituzionale verso una propria social democrazia non è riuscito a completarsi a causa di molti aspetti tipici della società tradizionale?
Beh, la tradizione non è necessariamente una barriera alla modernizzazione, che alcune volte si è osservata in contesti molto tradizionali. Come nel caso dell’Irlanda che, dalle sue forti tradizioni familiari ed economiche è divenuta la tigre economica
europea, nonchè uno dei paesi più ricchi al suo interno. Anche in Perù la modernizzazione nel rispetto della tradizione è possibile, ma alcuni requisti, come il miglioramento delle condizioni della donna sono fondamentali allo sviluppo. La donna deve essere liberata dal suo ruolo domestico per entrare nel mercato del lavoro. Ci sono quindi tradizioni che devono essere superate.
Il Perù, come altri paesi sudamericani, è un Paese culturalmente ed etnicamente variegato. Fino a che punto crede che questa diversità sia responsabile della mancanza di coesione sociale? Cosa si può fare per rafforzare una identità comune così da poter lavorare assieme e allo stesso tempo trarre vantaggio da queste diversità?
Chiaramente l’America Latina è un continente vastissimo con diversità sociali. Molte tradizioni storiche, molti miscugli culturali. Però tutti i Paesi al mondo hanno affrontato situazioni simili.
Nelle diversità i programmi sociali per combattere la povertà sono molto simili. Normalmente guardano alla condizione della donna, alla educazione, a una serie di politiche atte ad aiutare le comunità locali a uscire da situazioni dove sono presenti diversi fattori che escludono questa gente dal resto della società.
Non è però possibile attuare questi programmi elevando milioni di persone dalla povertà senza uno sviluppo economico sostenibile che le coinvolga direttamente.
Altri Peasi del mondo hanno ottenuto risultati importanti nella lotta contro la povertà. Credo che il destino di questo continente dipenderà dai paesi grandi, come Messico, Brasile ed Argentina. Tuttavia in un contesto globalizzato anche le poltiche migliori possono fallire se il contesto esterno è sfavorevole, e pertanto il futuro dell’America Latina non è nelle sue uniche mani.
traduzione di Stefano Clò