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Scritto da nel Numero 55 - 16 Febbraio 2009, Politica | 0 commenti

Stati di emergenza e disegni anti-immigrati: quale sicurezza?

Tra i gridolini isterici e recriminatori del Pd (a dir la verità, promotore di alcuni sensati emendamenti) passa al Senato il pacchetto sicurezza, ora rimandato al facile consenso della Camera e al centro delle polemiche mosse da Cei, associazioni per i diritti umani, coordinamenti di migranti e strutture sanitarie che vi leggono l'espressione di una visione xenofoba e razzista della società (di cui peraltro non eravamo digiuni) e si moltiplicano le iniziative di protesta in tutto il paese. Nonostante le numerose modifiche, la parte più corposa e più dibattuta del ddl resta quella volta ad inquadrare e normare il fenomeno migratorio, evidentemente, il nocciolo duro della “questione sicurezza” in Italia, in barba ad ogni genere di statistica. Inutile chiedersi se le cose stiano davvero così, lo dice la televisione.

Riassumo brevemente i punti di maggiore interesse. Viene introdotto nel nostro codice penale il reato d'ingresso e soggiorno illegale (senza visto o permesso) in Italia; la schedatura di tutti i soggetti senza fissa dimora dettagliata di indicazioni sulla loro origine etnica (nuova edulcorata veste del fallito tentativo di Maroni dello scorso anno di prendere le impronte digitali dei Rom, ora estesa anche ai senzatetto); la straordinaria trovata mediatica del permesso a punti, che introduce la reversibilità del permesso di soggiorno e l'espulsione per gli immigrati che commettano irregolarità o violino la legge, promettendo così di tenere il cittadino straniero sotto scacco continuo, con l'onnipresente minaccia di essere rispedito a casa, per quanto integrato. Seguono l'innalzamento della tassa per ottenere e rinnovare il permesso da 72 a 200 euro; la cancellazione del divieto ai medici di denunciare gli immigrati irregolari che si presentino al pronto soccorso o in ospedale per essere curati, con la conseguente preoccupante restrizione del diritto alle cure mediche per chi non è cittadino italiano; legalizzate le ronde padane, disarmate in extremis grazie a un emendamento del Pd.

In questo ddl si cela un pericolo enorme, non solo per i danni alle vite di tanti lavoratori stranieri, ma anche per le conseguenze sul piano della cultura profonda che rischia di ingenerare nella società civile italiana. Riflettiamo per un attimo su quello che significa la formale introduzione del reato d'ingresso e soggiorno in Italia. Significa eliminare la distinzione fondamentale, sostenuta dai più importanti costituzionalisti italiani, tra “immigrato irregolare” e “clandestino” e criminalizzare in massa gli immigrati privi di visto e contratto di lavoro. Questo è un punto centrale. Secondo la legislazione vigente, l'arrivo in Italia senza visto denota non un reato di per sé ma un'irregolarità amministrativa, come tale punibile con una semplice ammenda pecuniaria (che viene per giunta rincarata fino ad un massimo di 10.000 euro). Al contrario, la condizione di clandestinità riguarda chi, immigrato o no, si è reso colpevole di un reato e si è sottratto alla legge, diventando un latitante. Per intenderci, Provenzano che latita per trent'anni in Italia è un clandestino, lo straniero che mette piede a Lampedusa senza visto, no.

Eppure, sono anni che i media italiani portano avanti quest'operazione di obliterazione concettuale supportando l'invitta originalità della legge Bossi-Fini del 2002 che, in nome dello spauracchio della clandestinità, arriva ad affermare che per essere clandestino basta esser trovato privo dei documenti d'identità! D'altronde se l'immigrazione clandestina, di cui si sente tanto parlare, di fatto non esiste, bisognerà pure inventarla e si è finalmente provveduto a farlo con una legge ad hoc. Ma che ne è stato di quell'articolo 2, di non so più quale testo…“la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali [...] e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” Deve sicuramente trattarsi di uno scritto un po' datato, non più adatto alle “imprevedibili sfide” del presente. Questo punto è fondamentale anche sotto un altro rispetto: un criminale, colui che ha commesso un reato, è appunto chi fa qualcosa, nella fattispecie infrangere la legge, non chi è qualcuno, nello specifico, uno straniero in Italia. Il ddl, cioè, porta a compimento un'innovazione sostanziale, per altro già inaugurata dalla Bossi-Fini, producendo lo slittamento della punibilità dall'atto criminoso allo status del reo, alle sue caratteristiche. Ma questo significa affermare chiaramente che gli uomini non sono uguali, che esistono cittadini di serie A e di serie B e che la discriminazione tra i due gruppi è sostenuta e propugnata dalla legge, con tutte le schizofrenie sociali che ne derivano e di cui stiamo già avendo un triste assaggio in questi giorni (vedi attacchi indiscriminati a Rom ed immigrati e falò di senzatetto, che attestano la preoccupante propensione ad agire preventivamente verso soggetti la cui marginalità sociale rende tout court devianti, pericolosi, criminali).

La temuta e realistica conclusione è che questo ddl, lungi dal produrre effetti positivi sulla riduzione degli sbarchi o gli arrivi terrestri (per cui urgerebbero maggiori politiche di cooperazione in loco) servirà a innalzare le barriere che separano gli stranieri dal resto della società civile con il risultato di produrre segregazione, odio e un incremento della criminalità. Ovvio che la legge è funzionale a un altro malcelato obiettivo: quello di assicurare al nostro paese una sacca di lavoratori-schiavi, assorbiti dall'economia sommersa, terrorizzati all'idea di andare al pronto soccorso se sono malati, costretti a vivere in dei tuguri, senza luoghi di preghiera adeguati, privi di diritti politici e civili, ma rispedibili in ogni momento a casa loro. Vogliamo braccia insomma, non uomini. Della loro umanità non sappiamo proprio che farcene.

Un doveroso esercizio di umanità sarebbe invece continuare ad interrogarci, tutti, sulla legittimità delle leggi approvate in nome nostro e anche sulla necessità morale di disobbedire a leggi ingiuste, eticamente inaccettabili e socialmente funeste (come, col senno di poi, è stato ipocritamente rinfacciato alle popolazioni collaborazioniste dei nazi-fascisti). Anche in quel caso si è trattato di una discesa graduale verso l'inciviltà, simile all'attuale inavvertita sequela di dispositivi legali fragili, a scadenza quinquennale e a colpi di sanatorie, che ci ha portato al punto in cui siamo ora: più veniamo sommersi da leggi illegittime, anticostituzionali e più rischiamo di scordare i fondamenti sacri su cui si reggono il nostro ordinamento statale e il diritto internazionale, l'inviolabilità, universalità e inalienabilità dei diritti umani, che in nessun modo e luogo autorizzano la creazione di due classi separate di individui con differenti diritti e doveri (leggi: più doveri e meno diritti per gli immigrati).

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