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Scritto da nel Economia e Mercati, Numero 50 - 16 Novembre 2008 | 0 commenti

Liberare l'individuo dalla catena della comunità – Parte I

In quel cattivo e violento capolavoro di Lars Von Trier che è Dogville, la bella Nichole Kidman è Grace, figlia di un gangster, che fugge dalla violenza della sua quotidianità per rifugiarsi in una piccola comunità fatta di uomini, donne e bambini apparentemente virtuosi e conviviali. Ben presto, però, Grace scoprirà il lato oscuro dell'esistenza di ciascuno di loro, e patirà sulla sua pelle l'oppressione e lo sfruttamento che anima le relazioni in quel piccolo mondo antico. Nel finale, la grande catarsi si ottiene con l'arrivo dei gangster e la vendetta di Grace, che fa bruciare il piccolo paese di Dogville e sterminare tutti i suoi abitanti.
Consiglierei la visione del film a tutti i teorici della decrescita, per riflettere un po' sui limiti del comunitarismo e del ritorno ai “sani valori conviviali di un tempo”. Ai più volenterosi, si potrebbe consigliare anche la lettura dei saggi sull'abbandono dei bambini da parte dei genitori nelle società tradizionali europee e sulla diffusa pratica della pedofilia familiare nelle comunità rurali italiane, per continuare ad incrinare il mito arcadico che anima le loro tesi[1].
Credo che la riflessione sgombrerebbe il campo da molti interlocutori, lasciando spazio solo a qualche antropologo che continuerebbe a sostenere che “il nostro attaccamento emotivo agli infanti è frutto della colonizzazione dell'immaginario perpetrata dal modo di produzione capitalistico”, ed a coloro che utilizzano l'argomento “non è al passato che guardiamo: vogliamo un nuovo convivialismo ed un nuovo comunitarismo senza violenza”.
Mentre non trovo grandi spazi di dialogo con i primi, i secondi mostrano un ottimismo della volontà forse un po' eccessivo, ma pur sempre fondato (solo apparentemente, come cercherò di argomentare) su principi di Ragione. Quello che vorrei fare qui, è indicare loro alcune limitazioni oggettive alle teorie della decrescita, sperando che vogliano criticare le mie tesi e che si instauri così un dialogo proficuo. Partirei con una caratterizzazione molto semplice delle teorie della decrescita.
Cinque punti sulle teorie della decrescita
Non esiste, ad oggi, un corpo di teorie unitario e coerente riguardo alla decrescita, e per certi versi esso non è neanche auspicabile dai suoi teorici, che basano la loro critica del “pensiero unico” proprio sulla sua eccessiva volontà sistemica di dominio su tutti gli ambiti dello scibile umano.
Ciò nondimeno, è possibile individuare alcuni argomenti fondamentali che ricorrono nei lavori della gran parte degli intellettuali della decrescita.
Il primo è la constatazione che lo sviluppo ha rappresentato lo strumento del dominio occidentale sul resto del mondo. Questo argomento è stata sostenuta in particolare da intellettuali quali François Partant e Serge Latouche. In seconda istanza, i teorici della decrescita rifiutano la distinzione effettuata dagli economisti dello sviluppo tra i concetti di crescita e sviluppo. Alla base delle concetto di sviluppo vi sarebbe un paradigma lineare e progressista come quello di Rostow[2], tanto quanto progressista e lineare è l'ideologia della crescita ed il produttivismo. In questo senso tutte le teorie dello sviluppo, per quanto eterodosse esse possano essere, non sfuggono ai limiti epistemologici della teoria della crescita.
La terza argomentazione riguarda l'ecologia. Il principio filosofico di riferimento in questo campo è quello dell'etica della responsabilità di Hans Jonas, secondo il quale “l'esistenza può reclamare legittimamente la continuazione della sua esistenza”. Si tratta di un principio oggi largamente in voga e che ha il suo sbocco più moderato nel concetto di “sviluppo sostenibile”. Secondo i teorici della decrescita, però, il capitalismo è naturalmente portato a liberarsi delle proprie responsabilità intergenerazionali, e ad escludere il concetto di “sufficienza”, presente invece nelle società pre-capitalistiche. L'idea di far percorrere la via della sostenibilità allo sviluppo capitalistico è, secondo i sostenitori della decrescita, destinata al fallimento: il progresso infinito non è possibile ma tanto il capitalismo, quanto il concetto di sviluppo, si fondano su di esso.
La tesi dell'impossibilità del progresso infinito è sostenuta facendo riferimento in primis al lavoro di Nicholas Georgescu-Roegen. Questo grande matematico ed economista importò dalla termodinamica il concetto di entropia per osservare come in un sistema chiuso (la Terra) l'energia utilizzabile sia oggetto di trasformazioni (ad opera di tanti attori, tra cui l'Uomo) che la rendono inutilizzabile. Una volta che tutta l'energia sarà inutilizzabile non saranno possibili altre trasformazioni, e dunque nessuna crescita e progresso. La tesi è facilmente criticabile, osservando che la Terra non è un sistema chiuso, ma riceve energia dall'esterno e dall'interno, in particolare dal Sole. È pur vero, però, che il ritmo con cui la nuova energia genera nuova complessità e nuova vita è molto inferiore rispetto al ritmo con cui si muove l'azione distruttrice e creatrice dell'Uomo. Come risultato il livello di complessità del pianeta tende a ridursi col tempo. D'altra parte la riduzione della (bio)diversità terrestre è certo un fatto grave e serio, ma non equivale a dire che il progresso infinito sia strutturalmente impossibile.
Una quinta caratteristica è il già accennato riferimento alle società pre-capitalistiche. Di esse i sostenitori della decrescita svolgono spesso una grande apologia, sostenendo l'importanza di riscoprire i valori comunitari, e le culture tradizionali, devastate dalla diffusione del modo di produzione capitalistico. Contro di esso si fa riferimento spesso a quel concetto di “società conviviale” che è stato elaborato in primis da Ivan Illich. Secondo il filosofo austriaco, la convivialità è fondamentalmente un nuovo modo di riappropriarsi degli strumenti del progresso tecnologico e sociale. Si tratta di recuperare il dominio dell'agente sullo strumento, dell'uomo sulla macchina e liberare così l'autonomia e la creatività umane.
Sulla base di queste argomentazioni, i sostenitori della decrescita non propongono solo un superamento del concetto di decrescita, ma suggeriscono anche di “fermare la crescita”.


[1] Sul primo tema “L'abbandono dei bambini in Europa Occidentale” di John Boswell (ed. italiana Rizzoli, 1991), sul secondo “Pedofilia, tra seduzione e violenza” di Giorgio Chinnici.
[2] Walt Whitman Rostow ha proposto negli anni '60 la teoria delle cinque tappe della crescita, secondo la quale la modernizzazione economica avviene sempre secondo cinque stadi di base, la cui durata può però variare di paese in paese: società tradizionale, incubazione delle condizioni per il take-off, decollo della modernizzazione, evoluzione verso la maturità, società di consumi di massa. La teoria è stata ovviamente sottoposta a innumerevoli critiche e si può considerare oggi oramai definitivamente superata, o almeno possiamo augurarcelo.

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