Storia di un pittore minore
Ci sarebbero da scrivere fiumi di cartelle su grandi artisti del passato che, per un motivo o per un altro, non sono stati ancora abbastanza studiati.
E i motivi potrebbero andare dalla scarsa fortuna critica che fino a ieri li ha perseguitati, come per il bolognese Amico Aspertini (attualmente in mostra alla Pinacoteca Nazionale di Bologna), all'esiguità numerica di opere conosciute giunte fino ai giorni nostri, come per il genovese Luca Saltarello.
Ma se è vero che la golosità della memoria preferisce gli aneddoti alla grande storia, risulterà altrettanto vero che la tentazione di descrivere le vicende di un pittore minore è una tentazione irresistibile.
E' bene precisare che il concetto di artista “minore” è dovuto non solo ad un'effettiva subordinazione di un artista ad un altro suo coevo all'interno della comune epoca storica, ma è dovuto anche alle mode che i posteri costruiscono, di volta in volta, attorno ai maestri del passato.
Nel 1568, il pittore e architetto aretino Giorgio Vasari pubblica l'edizione definitiva de “Le Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti”, un'incredibile sforzo critico, una delle prime storie dell'arte italiana, rivelatasi, a suon di accertamenti, compilata per lo più con fonti di seconda mano (e perciò poco attendibili) ma utilissima per la sua capacità di restituirci un ritratto dell'Italia di allora e soprattutto per la miniera di gossip d'annata che essa ci offre.
Nella Firenze rinascimentale, oltre ai soliti mostri sacri come Michelangelo, Raffaello, Leonardo, Fra Bartolomeo, Piero di Cosimo ecc., erano attivi diversi artisti più o meno rilevanti; uno di questi era Mariotto Albertinelli (1474-1515).
Mariotto crebbe nella bottega artistica del padre Biagio, dove fino all'età di circa quindici anni svolse mansione di “battiloro”, mansione che consiste nel prendere a martellate le monete d'oro fino a renderle sottili come foglie; per l'appunto, la “foglia-oro” che troviamo ad esempio applicata come sfondo sui polittici medievali viene ottenuta in questo modo.
Affrancatosi dunque dalla bottega paterna, passò alla bottega di Cosimo Rosselli, dove si adoperò ad apprendere i primi principi della pittura.
Nella bottega di Cosimo Rosselli, Mariotto conobbe il pittore che un giorno si sarebbe convertito col nome di Fra Bartolomeo (1472-1517), ma che all'epoca si chiamava ancora Baccio dalla Porta.
E' bene sottolineare questo repentino cambio di bottega da parte di Mariotto, poiché fino a quando il mestiere di pittore è stato un mestiere di bottega, di bottega artigianale, la formazione del pittore era talmente lunga che iniziava già dall'infanzia: lo stesso Baccio dalla Porta, ad esempio, entrò nella bottega di Cosimo Rosselli all'età di circa undici anni, per rimanervi approssimativamente fino all'età di diciotto o diciannove anni, quando decise di aprire la propria bottega.
Racconta il Vasari che Mariotto e Baccio “erono un anima et un corpo, e fu tra loro tal fratellanza, che quando Baccio partì da Cosimo per far l'arte da se come maestro, anche Mariotto se n'andò seco”.
La 'tarda' entrata di Mariotto in una bottega specializzata in pittura, gli cagionò un'insufficiente padronanza del disegno, per cui, lasciata momentaneamente la bottega di Baccio “si diede allo studio delle anticaglie che erano allora in Fiorenza, la magior parte e le migliori delle quali erano in casa Medici”. Proprio questo contatto con i Medici, gli valse la stima e la benevolenza di Alfonsina Orsini, madre di Lorenzo il Magnifico, “la quale perché Mariotto attendesse a farsi valente, gli porgeva ogni aiuto”.
Ma la cacciata dei Medici era dietro l'angolo, e nel 1494 “ritornò Mariotto alla stanza di Baccio dove [...] affaticatosi intorno al naturale et a imitar le cose di Baccio, onde in pochi anni si fece un diligente e pratico maestro”.
Mariotto si impegnò talmente ad imitare la maniera del compagno, che molti scambiarono la sua mano per quella di Baccio.
Questo momento felice durò circa sei anni: correva l'anno 1500 quando Baccio dalla Porta, impressionato dalla predicazione di Savonarola, bruciò tutte le sue opere di carattere profano e si fece frate col nome di Fra Bartolomeo.
In un primo momento, a causa della dipartita dell'amico, Mariotto si sentì smarrito. “E sì strana gli parve questa novella che, disperato, di cosa alcuna non si rallegrava. E se [...] Mariotto non avesse avuto a noia il commerzio de' frati, de' quali di continuo diceva male, [...] arebbe l'amor di Baccio operato talmente, che a forza nel convento medesimo col suo compagno si sarebbe incapucciato egli ancora.”
In virtù della medesima maniera pittorica di Baccio, Mariotto fu sollecitato dai clienti della loro bottega, e pregato dallo stesso Baccio, di portare a compimento le opere iniziate da quest'ultimo.
Ciò gli diede grandissimo credito nell'arte, procurandogli importanti commissioni religiose, dalla Certosa di Firenze al convento di San Giuliano.
Sono gli anni della sua carriera 'solista', tredici anni durante i quali gestisce, in qualità di maestro, una bottega presso la quale si formano pittori come il Pontormo, il Franciabigio, il Bugiardini, Innocenzo da Imola e un certo Visino da Firenze, una sorta di ambasciatore del rinascimento fiorentino in Ungheria, del quale non è sopravvissuta alcuna opera.
Sono gli anni in cui mette su famiglia sposando Antonia Ugolini, la figlia di un commerciante di vini.
E sono gli anni in cui il suo cervello si arrovella sulle nuove scoperte fatte da Leonardo sullo studio dei lumi, e in cui la pratica lo porta a disfare e a rifare l'Annunciazione conservata oggi alle Gallerie dell'Accademia di Firenze, per le lumeggiature della quale “arebbe voluto trovare un bianco che fusse stato più fiero della biacca: dove egli si mise a purgarla per poter lumeggiare in su i maggiori chiari a modo suo”. La delirante ricerca di un bianco che più bianco non si può!
Data al 1509 la collaborazione con l'antico amico Fra Bartolomeo, collaborazione promossa dallo stesso convento fiorentino di San Marco dove dimora il frate pittore che dal 1504, sollecitato dal suo priore, ha ripreso il pennello in mano.
Questo ritrovato sodalizio si interrompe improvvisamente dopo circa cinque anni, stavolta per la dipartita di Mariotto: “Era Mariotto persona inquietissima e carnale nelle cose d'amore e di buon tempo nelle cose del vivere; per che, venendogli in odio le sofisticherie e gli stillamenti di cervello della pittura, et essendo spesso dalle lingue de' pittori morso, come è continua usanza in loro, e per eredità mantenuta, si risolvette darsi a più bassa e meno faticosa e più allegra arte; et aperto una bellissima osteria [...] fece quella molti mesi, dicendo che aveva presa un'arte la quale era senza muscoli, scorti, prospettive e, quel ch'importa più, senza biasimo, e che quella che aveva lasciata era contraria a questa; perché imitava la carne et il sangue, e questa faceva il sangue e la carne, e che quivi ogn'ora si sentiva, avendo buon vino, lodare, et a quella ogni giorno si sentiva biasimare.”
Nel 1513, Mariotto passò dunque ad un'arte che allora, rispetto alla pittura, veniva considerata bassa, vile: l'arte del ristoro, del mescere buon vino.
Un'arte che oggi non viene considerata più tale ma che viene lodata e stimata molto di più dell'arte figurativa, nei confronti della quale è andato diffondendosi una sorta di diffidenza, come d'altronde nei confronti della figura dell'artista in generale, dovuta probabilmente alla condotta dei cosiddetti artisti maledetti come Modigliani da una parte, ed alla provocazione di artisti di denuncia come Pasolini dall'altra; personaggi scomodi in entrambi i casi.
Un'arte che gli dava soddisfazioni immediate, seppur più semplici, più umili; e che lo teneva alla larga dallo stress della competitività che allora, tra pittori ma più generalmente tra artisti,
doveva essere particolarmente sostenuta e avvelenata, e non solo tra pittori meno importanti, come ci conferma l'astio e le malelingue che rimbalzavano pure, e in maniera plateale, tra Michelangelo e Leonardo.
Tornando a Mariotto Albertinelli, lo stesso Vasari prosegue la biografia informandoci del passo indietro del nostro oste rinascimentale: “Ma pure venutagli anco questa a noia, rimorso dalla viltà del mestiero, ritornò alla pittura, dove fece per Fiorenza quadri e pitture in casa di cittadini”.
Risale a questi anni un suo soggiorno viterbese, seguito da una tappa a Roma, dove avrebbe realizzato un'opera nella chiesa di San Silvestro al Quirinale ma della quale si è persa ogni traccia.
Tornato a Viterbo dove aveva alcuni amori, che non poté possedere mentre si trovava a Roma,
giostrò in nome della sua servitù d'amore, secondo le regole dell'amore cortese; ma poiché “non era né molto giovane né valoroso in così fatte imprese, fu forzato mettersi nel letto. Di che, dando la colpa all'aria di quel luogo, si fé portare a Fiorenza in ceste. E non gli valsero aiuti ne ristori, che di quel male si morì in pochi giorni d'età d'anni 45, et in San Pier Maggiore di quella città fu sepolto.”
bene bene bene!