Sachs 1 – Sulla disuguaglianza ed i suoi rimedi
Molti paesi dell'America Latina hanno attuato, negli anni '80 e '90, politiche economiche per reinserirsi nel ciclo economico mondiale. Tuttavia, ancora oggi l'America Latina affronta gli stessi problemi di sempre: povertà, arretratezza economica e altissimi tassi di ingiustizia sociale. Essendo lei stato consulente in diversi paesi dell'America Latina, crede che le riforme non siano state applicate correttamente o che il modello introdotto fosse incompleto o inappropriato per la realtà sudamericana?
In generale, credo che il modello fosse incompleto, anche se le circostanze variano da paese a paese. Le iperinflazioni vissute durante gli anni '80 neccesitavano di essere tenute sotto controllo, e la stabilizzazione macroeconomica fu la priorità assoluta durante quel difficile periodo. Cercando di raggiungere questi obbiettivi sono stati commessi alcuni errori. Ad esempio, in Argentina la cassa di conversione non risultò essere una politica molto buona. Tuttavia, penso che la vera disillusione non consista nella stabilizzazione macroeconomica, ma nel fallimento del tentativo di ottenere una crescita economica stabile. In questo senso, credo che per molti paesi il problema sia un modello di sviluppo incompleto.
L'America Latina non ha fatto parte dell'economia globale della conoscenza; non è cresciuta nella produzione delle tecnologie moderne. Fallì nel momento di integrarsi nei settori globali più dinamici come hanno fatto i paesi dell'Asia Orientale. Probabilmente, questo è in relazione con il fatto che il modello economico seguito dalla maggioranza dei paesi latinoamericani era carente di una strategia industriale appropriata (a differenza dell'Asia). In conclusione, penso che vi siano molte difficoltà; la mancanza di strategie appropriate si trova tra queste.
In un'intervista fatta nell'anno 2000, lei disse che uno dei grandi problemi morali per ogni economista sta nella crescente disuguaglianza, come dire la crepa, tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo. Oggi giorno, dopo le riforme degli anni '80 e '90 c'è una nuova sfida. E' forse sufficiente un modello che richieda stabilità economica, politica e sociale con il fine di attrarre investimenti? Lei crede che i paesi latinoamericani possano superare questa crepa e giungere ad uno sviluppo?
L'America Latina ha sempre vissuto grandi sfide interne ed esterne. Internamente, i paesi latinoamericani hanno avuto una disuguaglianza tremenda a causa della storia della regione. Erano paesi di conquista e di schiavitù, e il risultato fu che, nel XIX secolo, all'interno della società latinoamericana esistevano già tremende divisioni. Queste divisioni persistettero durante tutto il XX secolo e hanno creato molta instabilità, brusche transizioni politiche tra la sinistra e la destra, agitazione politica e incluso guerra civile.
Allo stesso tempo, l'America Latina era alla ricerca di un posto all'interno dell'economia mondiale. Durante molto tempo, la regione ha prodotto, basicamente, beni primari che non erano sufficienti per mantenere l'aumento continuo del livello di vita richiesto dai latinoamericani. Per avere un'economia più sofisticata e un livello medio di vita più alto bisogna prima risolvere i problemi interni, e trovare nuove maniere di focalizzare la globalizzazione. Un passo per superare questi problemi è incrementare il livello di educazione della popolazione, in modo da diminuire l'instabilità sociale.
Io sempre ho creduto che l'educazione è il miglior canale per ridurre le immense disuguaglianze ereditate in America Latina. Quando questo accadrà, quando la forza lavorativa sarà più istruita e la popolazione più colta scientificamente, la prossima sfida sarà di convertire questo maggior livello di educazione in una maggiore produttività all'interno del contesto internazionale. Questo porterà ad incrementare la partecipazione dell'America Latina a livello internazionale e ad andare oltre i beni primari, con la produzione di beni manifatturieri e servizi. Gran parte del problema d questo continente è che questo processo non è mai realmente avvenuto.
Lei ha lasciato i temi di stabilità economica e attualmente si occupa di salute e povertà. Per prima cosa, cosa ha portato a un economista con una grande tradizione in temi Macroeconomici a lasciare quest'area e dedicarsi a queste tematiche? E' stata forse a causa della frustrazione di fronte alla mancanza di risultati nell'area macroeconomica?
Ancora sto provando a capire cosa sia successo realmente. Sento di aver appreso molto sulla macroeconomia e sull'economia monetaria. Ho visto quello che si poteva ottenere, ho visto quali erano i limiti, e ho capito ogni volta di più che, per occuparsi realmente dei problemi di società come il Perù o la Bolivia, o di regioni dell'Africa dove sto lavorando molto in questo periodo, la macroeconomia poteva risolverealcune cose, lasciando però irrisolti molti altri problemi. Quindi, pensai che sarebbe stato importante capire e lavorare su una gamma di questioni più ampia e, francamente, è molto divertente imparare sempre nuove cose. (risate)
Credo che una vita di continuo apprendistato sia un buona maniera di fare le cose. Però non ho messo da parte la macroeconomia: quando i problemi sono realmente macroeconomici sono felice di affrontarli e quando ci sono le crisi finanziarie, questioni budgetarie o grandi problemi di debiti, può stare sicuro che mi occupo ancora di macroeconomia. D'altra parte però, quando i problemi sono di natura differente, allora voglio accertarmi di avere gli strumenti necessari per essere capace di occuparmene alla stessa maniera.
Traduzione di Angelo Valenza e valentina Soluri