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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 47 - 1 Ottobre 2008 | 0 commenti

The jewel of Medina: auto-censura negli Stati Uniti

The jewel of Medina: auto-censura negli Stati Uniti

Un caso di censura editoriale sta scuotendo la società culturale americana. La notizia risale alla metà di Agosto quando la Random House di New York, per tutelare il proprio nome e l’incolumità delle persone che vi lavorano, ha preso la decisione di sospendere la pubblicazione del libro The jewel of Medina.
 
Il romanzo parla della storia di Aisha, la bambina che all’età di 6 anni venne presa in sposa dal profeta Maometto. Aisha è una figura molto importante nella storia della religione islamica. Fu la moglie favorita del profeta, condivise con lui numerose rivelazioni e la leggenda vuole che lui morì tra le sue braccia quasi dodici anni dopo il loro matrimonio. Anche se si tratta di una storia d’amore, un libro che tratta da vicino la figura del profeta dell’Islam rischia di provocare reazioni violente, e nella cronaca degli ultimi anni si possono trovare numerosi esempi.
 
 
La Random House è una delle maggiori firme editoriali americane, la stessa che nel 1988 pubblicò I versi satanici di Salman Rushdie, opera che costrinse lo scrittore ad anni di vita sotto scorta (il traduttore giapponese venne assassinato e quello italiano ferito gravemente). Ma i tempi sono cambiati. Dopo l’11 settembre, il caso di Theo Van Gogh e delle vignette danesi, gli editori sono più cauti. Prima di pubblicare il libro hanno voluto consultare alcuni studiosi di islam perché ne valutassero il contenuto. Il responso è stato che il libro rappresentava “una minaccia per la sicurezza nazionale”. A questo hanno fatto seguito le reazioni di alcuni blogger islamici che hanno minacciato forti ripercussioni. 
 
Contro la decisione della casa editrice sono stati scritti numerosi articoli in ogni parte del mondo ed un famoso premio letterario americano, il Langum Charitable Trust, ha deciso di escludere qualsiasi opera della Random House dalle proprie candidature.
L’autrice, Sherry Jones, consapevole di rischiare una fatwa di condanna a morte, assicura di aver trattato la cultura islamica con il massimo rispetto. Come avviene spesso in questi casi, la polemica è stata un’ottima cassa di risonanza per il libro, che nel giro di un mese ha già trovato editori, meno cauti, in più di dieci paesi del mondo.
 
Chi scrive questo articolo è un sostenitore della libertà di espressione e di invenzione sempre e quando ciò che si racconta non risulti “eccessivamente” offensivo per nessuno. Dall’altro lato la sensibilità di chi potrebbe offendersi deve essere supportata da ragioni motivate. Ma la reazione ad un’opera offensiva non deve andare oltre l’indignazione e sicuramente non deve tradursi in causa di morte. Ma cosa fare in casi come questi? E’ giusto esporre a questi rischi i propri collaboratori? Nelle cronache passate, la condanna a morte non ha coinvolto solo gli autori delle opere, ma anche le persone che ci avevano lavorato. Non riesco a trovare una risposta. Ne prossimi numeri racconterò di altre vicende simili a quelle del libro di Sherry Jones.
 
Se The jewel of Medina sia realmente un’opera offensiva nei confronti dell’Islam non lo sa nessuno. In tutti gli articoli che ho consultato si è dato maggior spazio alla vicenda editoriale e non c’è traccia di una trama definita. Per dare questo giudizio attendiamo l’uscita del libro in Italia, prevista nei prossimi mesi per i tipi di Newton&Compton.
 

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