Trasformazioni produttive e relazioni industriali
Prendo spunto nell'introdurre questo articolo sulla formazione da ciò che scrive Danilo Gruppi nel volume trasformazioni produttive e relazioni industriali: la formazione come leva per lo sviluppo (a cura di Franco Fortunati) e che sarà in libreria tra qualche settimana.
Scrive Gruppi, Bologna e l'Emilia sono tuttora all'interno di una fase di transizione nel segno della trasformazione. Una trasformazione il cui grado di intensità è ragguardevole ed orientata verso un approdo le cui caratteristiche non è ancora dato sapere quali davvero potranno risultare. [...]
Un processo di trasformazione che trova ampie conferme negli studi, nelle ricerche, nei dati disponibili che ci descrivono la realtà locale. [...]
Il cuore del problema sta nel carattere assolutamente strutturale della trasformazione in atto, carattere tutt'altro che alterato da eventuali fenomeni di ripresa congiunturale. E, in tale contesto, nella accentuazione della tendenza alla polarizzazione tra le imprese, in ragione del sempre più marcato differenziale determinato dal “prodotto”, dalla sua qualità e dalla sua capacità di incorporare ricerca e innovazione.
Per favorire la valorizzazione e il rafforzamento del nostro sistema produttivo occorre pertanto agire prioritariamente sull'innovazione di prodotto e sul ruolo decisivo del sistema territoriale. [...]
Aumentano, all'interno del processo di trasformazione in corso, gli elementi di insicurezza sociale. Mentre infatti persistono, e per certi aspetti si accentuano, alcuni fenomeni in atto da tempo – quali l'aumento della precarietà dei rapporti di lavoro; l'intensità degli infortuni in conseguenza della frammentazione dei cicli lavorativi e del crescente impiego di lavoratori immigrati e precari privi della necessaria formazione di base; la riduzione del grado di tutela del lavoro nell'ambito delle attività gestite in regime di appalto – l'inadeguatezza sostanziale del “sistema formativo” (nell'accezione più ampia del termine: scuola – università – formazione continua) propone una sorta di corto circuito tra domanda ed offerta formativa.
Ormai è evidente che stiamo vivendo “dentro” alla trasformazione e molto spesso non riusciamo a coglierne ne i contorni, ne capire gli impatti che questa potrà avere sul nostro tessuto sociale. Non si può più nascondere che vi è la necessità di costruire nuovi spazi teorici, intellettuali e politici per iniziare a ragionare in modo congiunto di temi più concreti che fanno riferimento a sviluppo, competenze dei lavoratori, occupabilità.
Bisogna iniziare a ragionare in termini nuovi davanti a situazioni che si stanno delineando del tutto nuove, e cercare di avanzare proposte che introducano veramente elementi di innovatività per il sistema stesso, così da supportare in modo efficace sia le imprese sia i lavoratori.
Ragionare di questi temi richiede trovare punti di analisi condivisi anche partendo da prospettive diverse, ed è per questi motivi che dovrebbe esserci la volontà e l'impegno per cercare di mettere in relazione tra loro sviluppo e crescita dell'impresa, strategie di sviluppo del territorio e sviluppo delle competenze dei lavoratori, per rispondere a domande sempre più impellenti quali: sviluppo, crescita, garanzie occupazionali.
Un nuovo modello formativo che ha l'ambizione di affrontare ed intervenire all'interno di questi temi non può che rifarsi al concetto di bilateralità come strumento non solo di gestione delle dinamiche, ma di analisi e di governo per rispondere alle sfide che l'attuale fase economico-produttiva attraversa.
Le caratteristiche per fare innovazione in un sistema formativo che favorisca lo sviluppo, come tutti e da tempo stanno auspicando, sono: capacità di produrre idee, competenze specifiche sulla formazione (non pensare che di formazione se ne possano occupare tutti), creare network nuovi tra soggetti nuovi, stimolare il ricambio generazionale.
Sarebbe opportuno impegnarsi per mettere insieme una classe dirigente eterogenea, con ruoli sociali, istituzionali, interessi e prospettive anche diverse tra loro, ma con la volontà di cercare e avanzare proposte concrete e realizzabili, per provare ad iniziare quel difficile percorso che è “innovare” il sistema, perché sappiamo che ogni modifica anche ad una parte piccola del sistema comporta delle modificazioni all'intero sistema.
Vi è bisogno di stimolare il sistema scolastico-formativo (troppo ripiegato su di sé a cui hanno concorso in molti e avulso dai cambiamenti) a riprendere quel ruolo decisivo per il sistema sociale e produttivo che gli spetta, ma la cosa prioritaria sarebbe provare a ridare slancio a quelle energie presenti nei territori (soprattutto nei giovani e che non sono poche) che non trovano momenti e luoghi di aggregazione per diventare a loro volta stimolo e parte attiva al cambiamento.
Bisogna che la formazione torni ad essere un sistema “aperto” che guarda al futuro con fiducia, che dialoga con i tutti gli attori (imprese, parti sociali, istituzioni, ecc.) – e non solo per comodità o spirito di appartenenza politica con alcuni di loro – cercando di cogliere e guardare le novità e le trasformazioni presenti nel territorio (economiche e sociali) come elementi su cui costruire una propria progettualità formativa nuova e diversa, ma per fare questo bisogna avere quelle caratteristiche già espresse: capacità di produrre idee, competenze, creare network nuovi, tra soggetti nuovi, stimolare il ricambio generazionale.