Il Ministro deresponsabilizzato
L'eroe del momento è Renato Brunetta, ai vertici della popolarità per aver dato finalmente fiato ad un altro dei sentimenti di odio che hanno guidato la campagna elettorale più becera del centro destra: dopo i rom e i rumeni (tutti nello stesso calderone alla faccia delle differenze etniche), adesso è il turno dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (fannulloni o non fannulloni, lo stato di diritto è ormai un privilegio per le più alte cariche dello Stato).
Proviamo a riassumere la situazione per come essa è.
Le Pubbliche Amministrazioni sono l'emanazione vera e propria, nel senso che ad esso sono gerarchicamente subordinate, del Governo, il cosiddetto Potere Esecutivo, che per loro tramite esercita i propri compiti verso i cittadini. Come ben si sa in tutte le aziende, il responsabile è il capo. Questo significa che quando una Pubblica Amministrazione è inefficiente il responsabile ha un nome ed un cognome, ed è il Ministro. Si chiedono le dimissioni del Ministro, in effetti, in caso di mancanze gravi da parte di una struttura a lui subordinata. Il che rispetta un principio di responsabilità: alto stipendio, caro Ministro, alta responsabilità. Anche al di là di quanto direttamente controllabile. Altrimenti sarebbe come se di fronte agli azionisti un top manager di una multinazionale dicesse che non è riuscito a raggiungere i propri goals per colpa dei dipendenti inefficienti: sommerso dalle risa e licenziato.
Per contro, ai fini di snellire e rendere una struttura funzionale, è evidente che esistano delle responsabilità intermedie, lungo una schiera di dirigenti, funzionari e impiegati. Nessuno autonomo, ma tutti gerarchicamente vincolati ad una serie di normative, circolari, risoluzioni da rispettare onde evitare di imbattersi nelle sanzioni disciplinari. La cosiddetta 'struttura organizzativa', la macchina burocratica che a capo ha il Ministro ed in fondo un pezzo di carta.
Da buon cittadino che preferisce relazionarsi direttamente con la P.A. invece che rivolgersi alle Agenzie pratiche mi permetto un appunto: i miei problemi dipendono in genere dal fatto che la Motorizzazione civile chiuda alle 11.30, il Pubblico registro automobilistico alle 12 (per fare i due esempi più recenti). Ma di chi è la colpa? Dell'impiegato o di chi ha stabilito gli orari e organizzato il lavoro in maniera inefficiente (oppure, pensando male, conveniente solo per le autoscuole)?
E allora, invece che iniziare un lungo faticoso oscuro e serio lavoro (Bassanini e le sue leggi di 10 anni fa insegnano, ma i sondaggi lo ignorano), si preferisce la via di lavarsi le mani del proprio dovere istituzionale e professionale e stabilire per decreto una legge discriminatoria e ingiusta verso i propri collaboratori (questo sono, nell'ottica aziendale che il berlusconismo vorrebbe mostrare di padroneggiare, i dipendenti pubblici per i Ministri): la reperibilità dalle 8 alle 13 e dalle 14 alle 20 in caso di qualsiasi malattia, festivi compresi (chissà perchè tutta questa libertà di uscire di notte), si chiamano arresti domiciliari. Ma se il dipendente ha un arto rotto avrà pure il diritto di recarsi fuori casa, a fare la spesa sotto casa, a sedersi in mezzo alle persone per una mezz'oretta, o dovrebbe forse andare indolenzito a lavorare? Sarebbe forse più produttivo o non sarebbe invece meglio consentirgli un pieno e sereno recupero? Oppure la compagnia obbligatoria per il malato è quella della televisione pomeridiana, magari in un caldo afoso estivo, per essere sicuri che al suo rientro in ufficio preferirà chiudersi in bagno con la cacarella piuttosto che muovere ancora un briciolo di cervello?
Il tema, in sintesi, è quanto sia giusto che l'abuso di un diritto da parte di pochi si trasformi in misure punitive per chi invece si comporta correttamente. Il caso limite: è giusto che perchè la depressione è facilmente simulabile si debba smettere di tutelare la salute di chi è depresso, magari a causa di mobbing? Non sarebbe più opportuno modificare il sistema di protezioni che adesso non combatte la falsificazione di certificati?
La soluzione del settore privato è semplice: il dirigente conosce i propri dipendenti, instaura un franco rapporto di collaborazione, e sa chi lavora e come. Perché è vero che il dipendente (non solo pubblico, anche privato), da quando è in vigore lo Statuto dei lavoratori, è diventato una categoria molto protetta (talvolta e purtroppo al di là di quanto giusto) ma il problema del settore pubblico rispetto a quello privato è che ad essere intoccabile è il dirigente (che nel settore privato comunque rischia). Che cosa propone invece il massimo dirigente pubblico? Una legge. Invece di lavorare tutti i giorni a contatto con i propri dipendenti, un'altra legge risolverà tutto. Di certo il problema della popolarità. Una legge e la magistratura, che a seguito delle class action, rimedierà a tutti i danni creati dall'inefficiente struttura burocratica (a meno che non rientri tra i processi meno urgenti e da bloccare). La solita tragi-commedia all'italiana.
Ci scuserà il signor Ministro, se da cittadini disillusi dubitiamo delle belle parole dei Powerpoint sul sito del Governo e delle leggi dove c'è scritto che l'Amministrazione dovrà, farà, provvederà, anche se ci auguriamo di essere smentiti dai fatti.
La terminologia economica, in questi casi con distaccato cinismo, parla di discriminazione tra settore pubblico e privato. Che, come al solito per i meccanismi di adverse selection, penalizza le persone oneste e non chi della malattia fa una truffa vera e propria.
Morale, il Governo (al di là del proprio colore) scarica le proprie inefficienze sull'ultima ruota del carro. E non le risolve, perché il problema del cittadino è come il dipendente pubblico lavora e non come trascorre i propri giorni di malattia. Ma a tal fine occorre appunto lavorare e non legiferare, il che forse come vuole la vulgata ai politici non è confacente.
Ci aspettiamo che adesso le medesime norme vengano applicate anche ai primi dipendenti pubblici, parlamentari e ministri in primis, che ci aspettiamo di vedere rinchiusi in casa quando assenti dal Consiglio dei Ministri. Almeno per farci due risate alla faccia loro, quando all'ufficio pubblico vedremo eserciti di ammalati veri che in stampelle e con il catarro a fior di bocca davvero faranno fatica a sentirci e a risponderci, ma resisteranno come vecchi eroi troiani al fine di essere liberi, perlomeno, giusto dopo la fine del proprio orario di lavoro e non solo nella notte.
ciao Tobia,
io sono in toto d'accordo con i concetti di fondo del tuoa rticolo, cocnetti che ritrovo anche in quello che avevo scritto con francesco su qualche numero fa..
l'esempio della motorizzazione mi sembra lampante.
mi perdo invece un pò sulla prte della malattia, non conosco bene la proposta di Brunetta, che ne l tuo articol viene data un pò per scontata. Inoltre mi sembra che a un certo punto si mescolino un pò le carte, tra responsabilità sui diversi gradi e problemi di adverse selection.
Forse stabilire chi deve effettivamente rispondere di determiate responsabilità tra i diversi livelli gerarchici e definire una legge giusta e non distorsiva per regolare la malattia dei dipendenti pubblici son due questioni collegate ma che possono essere trattate separatamente. ad esempio, ci può essere una giusta allocazione delle responsabilità tra ministro e dipendenti e ancora una legge fatta male per determinare chi è veramente malato (e viceversa).
i temi della meritocrazia e delle malattie stanno emergendo all'interno dell'arengo e per me si dovrebbe pensare a trattarli uklteriormente nei loro casi più pratici…
bell'articolo