L'altro volto del Vate
In una giornata di marzo di 70 anni fa, moriva uno dei fiori della letteratura italiana: Gabriele D'Annunzio. Poeta maledetto, decadente, di cui, come di ogni grande artista, si è detto tutto e il contrario di tutto. D'Annunzio il nazionalista, il guerrafondaio, padre del superomismo e precursore del fascismo. Oppure D'Annunzio il democratico, l'inventore di una politica moderna che non si riconosce più nelle rigide schematizzazioni di destra e sinistra. L'ideatore di quelle che diverranno le parole d'ordine del regime fascista e allo stesso tempo l'anticipatore dei movimenti libertari del '900. Una personalità complessa e sfuggente, impossibile da rinchiudere nelle vuote definizioni letterarie. Banco di prova per generazioni di critici che su di lui, sulla sua vita e sulle sue opere, si sono posti mille interrogativi, senza mai giungere ad una risposta univoca.
Ultima delle innumerevoli biografie del Vate: D'Annunzio, l'amante guerriero (Mondadori, 2008) di Giordano Bruno Guerri. Questo libro, nelle intenzioni dell'autore, rappresenta il tentativo di restituire al poeta abruzzese il posto che merita all'interno della letteratura italiana. Una rivisitazione del mito dannunziano, a cui la critica del secondo dopo guerra ha risposto assai spesso con la condanna, colpendo prima ancora che il poeta, l'uomo. Infatti, la numerosa folla dei detrattori, secondo Guerri, fingendo di attaccare il D'Annunzio scrittore, si scagliava in realtà contro l'attivista politico, travisandone peraltro il messaggio e ridimensionandone l'importanza.
Nella sua biografia, l'autore, tenta di restituire dignità alla figura del Vate combattendo i più diffusi luoghi comuni. Alla falsa immagine di un D'Annunzio fascista, ad esempio, contrappone quella di un uomo che nutriva un profondo disprezzo per il regime ed ogni suo esponente. La famosa caduta dalla finestra del 1922, si ipotizza persino possa essere stata una trovata del poeta per evitare l'incontro, fissato due giorni dopo, con Nitti e Mussolini; lo intuì anche Hemingway, quando, in un articolo per un giornale americano, annunciava la nascita in Italia di una nuova opposizione “guidata da quel rodomonte vecchio e calvo, forse un po' matto ma profondamente sincero e divinamente coraggioso che è Gabriele D'Annunzio”.
Giordano Bruno Guerri, con occhio attento e disincantato, tratteggia la figura di un uomo trasgressivo, ribelle, schiavo della droga e del sesso, e non manca certo di aggiungere un tocco di ironia quando racconta degli innumerevoli tradimenti amorosi, compiuti per dare soddisfacimento a quel suo “gonfalon selvaggio” in continua erezione. D'altro canto questo stesso uomo, fece tremare le fondamenta della cultura italiana, impregnata del classicismo carducciano, facendosi interprete delle aspettative e dei desideri della nuova borghesia, e allo stesso tempo, mettendo la sua vita, i suoi sentimenti, i sui costumi sotto gli occhi di tutti, divenendo così il primo vero “personaggio pubblico”.
Gabriele D'Annunzio fu un uomo dai mille volti, animo in continua evoluzione, capace di suscitare sentimenti di odio e amore di pari intensità, certo mai l'indifferenza; coniatore di termini quali “intellettuale” e “beni culturali” nella loro accezione moderna, e allo stesso tempo inventore del fenomeno, altrettanto moderno, del divismo. Mantenendo fede alla sua vocazione d'esteta, fu realmente in grado di fare della sua stessa vita un'opera d'arte, che in quanto tale non sarà mai soggetta ad un'interpretazione univoca, ma continuerà a rappresentare un'inesauribile fonte di fascino e bellezza.