Un albero per aula – 15/10/2005 Boda-Boda (in corteo per un collega)
I boda-boda non sono quello che si definirebbe una classe lavorativa coesa. Ma innanzitutto, che cosa sono i boda-boda ( o semplicemente boda)? Il termine, che si riferisce sia all’occupazione che al lavoratore, descrive quelle biciclette che, provviste di un cuscino sul portapacchi e di due sporgenze per poggiare i piedi, vengono trasformate in taxi e sono il mezzo di trasporto più utilizzato in paese, ten bob (dieci scellini) per andare da casa al confine, un pound (venti scellini) se è scuro. Qui a Busia ce ne sono tantissimi: quasi cinquemila, mi dice Linus, uno dei boda-boda che sta sempre fuori all’ICS. Se per me percorrere la strada di Busia ogni giorno può significare l’abitudine, immagino che per loro significhi alienazione. Avanti e indietro da mattina (le cinque) a sera, tutti i giorni.
La ricerca del cliente è una vera e propria caccia; quando non sono appostati in punti strategici, i boda pedalano pianissimo scorgendo possibili passeggeri e aguzzando le orecchie per sentire se qualcuno da lontano chiama “Boda!”. Quando uno dei wazungu si avvicina scatta la gara per accaparrarsi il potenziale passeggero (magari anche sperando di guadagnare un prezzo più alto del solito…) E invece una volta che il passeggero sale (gli uomini si siedono normalmente a cavalcioni, mentre le donne si accomodano rigorosamente sul cuscino in posizione laterale) la bici va veloce, molto veloce. Finché si è su strada asfaltata tutto fila più o meno liscio, salvo ricordarsi di aggrapparsi al sellino per i dossi rallenta- traffico. Il problema è quando si va per villaggi e campagne e il boda di turno propone una shortcut, la scorciatoia della quale il mio fondoschiena risentirà poi almeno per altre ventiquattro ore.
Gira voce che la notte, dopo le nove, i boda non possano circolare. Nessuna ha mai capito se sia leggenda o verità, ma sta di fatto che tutte le volte che ho fatto un viaggio notturno la bicicletta sfrecciava, dribblando ombre di persone e buche. E io ho imparato a portare sempre con me la mia torcia per illuminare il cammino e farsi notare dalle auto, nel caso, piuttosto frequente, in cui il mio taxi sia sprovvisto di luci.
A Busia, dicevo, i boda sono tanti, troppi. Tutti contrassegnati da un’uniforme blu, lacerata, da un numero e, molti, anche da una scritta “Linda Maisha” (proteggi la tua vita –dall’HIV) che, con un’idea geniale, quelli di Medici Senza Frontiere hanno fatto mettere sul retro delle uniformi e che quindi tutti i passeggeri leggono. La competizione per i passeggeri esiste ed è forte: ad esempio, in omaggio ancora una volta alle “leggi” dell’economia, appena qualcuno tenta di farmi pagare un prezzo “troppo alto” subito qualche altro conducente ha un’offerta migliore. Altre volte vi sono accuse di rubare un passeggero, visto prima da un altro e ci si becca gli improperi del caso (parte dello swahili o di qualche altra lingua che stranamente non ho ancora imparato). I boda sono considerati una delle classi di lavoratori più umili, al fondo della scale sociale. Il lavoro di chi possiede un paio di gambe e nient’altro (non è strettamente necessario nemmeno possedere una bicicletta visto che il mezzo di trasporto può esser preso in affitto, da appositi concessionari).
Ma oggi è diverso. Il corteo sfila rumoroso sulla strada principale. Avvertiamo i rumori, i campanelli che suonano, dall’ufficio. Che cosa succede? Le tante biciclette sfilano insieme, “compatte” si potrebbe dire se si trattasse di una manifestazione politica, dirette verso il cimitero. Ieri una delle tante camicie blu, di ritorno da non so quante ore di lavoro, si è scontrata con un camion, uno dei tanti che passano da questi parti, transitando per l’Uganda; ed è morta. Ventotto anni, mi dice ancora Linus. Vale la pena fermarsi, sospendere l’attività da dieci scellini ogni tre chilometri per ricordare tutti insieme un collega scomparso; e forse oggi anche la strada, percorsa infinite volte, pare non essere quella di sempre.
La ricerca del cliente è una vera e propria caccia; quando non sono appostati in punti strategici, i boda pedalano pianissimo scorgendo possibili passeggeri e aguzzando le orecchie per sentire se qualcuno da lontano chiama “Boda!”. Quando uno dei wazungu si avvicina scatta la gara per accaparrarsi il potenziale passeggero (magari anche sperando di guadagnare un prezzo più alto del solito…) E invece una volta che il passeggero sale (gli uomini si siedono normalmente a cavalcioni, mentre le donne si accomodano rigorosamente sul cuscino in posizione laterale) la bici va veloce, molto veloce. Finché si è su strada asfaltata tutto fila più o meno liscio, salvo ricordarsi di aggrapparsi al sellino per i dossi rallenta- traffico. Il problema è quando si va per villaggi e campagne e il boda di turno propone una shortcut, la scorciatoia della quale il mio fondoschiena risentirà poi almeno per altre ventiquattro ore.
Gira voce che la notte, dopo le nove, i boda non possano circolare. Nessuna ha mai capito se sia leggenda o verità, ma sta di fatto che tutte le volte che ho fatto un viaggio notturno la bicicletta sfrecciava, dribblando ombre di persone e buche. E io ho imparato a portare sempre con me la mia torcia per illuminare il cammino e farsi notare dalle auto, nel caso, piuttosto frequente, in cui il mio taxi sia sprovvisto di luci.
A Busia, dicevo, i boda sono tanti, troppi. Tutti contrassegnati da un’uniforme blu, lacerata, da un numero e, molti, anche da una scritta “Linda Maisha” (proteggi la tua vita –dall’HIV) che, con un’idea geniale, quelli di Medici Senza Frontiere hanno fatto mettere sul retro delle uniformi e che quindi tutti i passeggeri leggono. La competizione per i passeggeri esiste ed è forte: ad esempio, in omaggio ancora una volta alle “leggi” dell’economia, appena qualcuno tenta di farmi pagare un prezzo “troppo alto” subito qualche altro conducente ha un’offerta migliore. Altre volte vi sono accuse di rubare un passeggero, visto prima da un altro e ci si becca gli improperi del caso (parte dello swahili o di qualche altra lingua che stranamente non ho ancora imparato). I boda sono considerati una delle classi di lavoratori più umili, al fondo della scale sociale. Il lavoro di chi possiede un paio di gambe e nient’altro (non è strettamente necessario nemmeno possedere una bicicletta visto che il mezzo di trasporto può esser preso in affitto, da appositi concessionari).
Ma oggi è diverso. Il corteo sfila rumoroso sulla strada principale. Avvertiamo i rumori, i campanelli che suonano, dall’ufficio. Che cosa succede? Le tante biciclette sfilano insieme, “compatte” si potrebbe dire se si trattasse di una manifestazione politica, dirette verso il cimitero. Ieri una delle tante camicie blu, di ritorno da non so quante ore di lavoro, si è scontrata con un camion, uno dei tanti che passano da questi parti, transitando per l’Uganda; ed è morta. Ventotto anni, mi dice ancora Linus. Vale la pena fermarsi, sospendere l’attività da dieci scellini ogni tre chilometri per ricordare tutti insieme un collega scomparso; e forse oggi anche la strada, percorsa infinite volte, pare non essere quella di sempre.