Incubo numero Uno
Si sentì in mezzo alla battaglia. Forse per le membra intirizzite, il viso sferzato dal vento che impediva di tenere gli occhi aperti, colpiva i denti e riempiva la bocca di sassi e polvere. Forse per le ferite bruciate e sanguinanti. Dentro di sé un freddo lancinante gli aveva agghiacciato il ventre, entro il quale sembravano volersi nascondere quei due piccoli e fragili testicoli che doloranti cercavano conforto là da dove erano venuti, gli annebbiava la vista e asciugava le fauci. Respirava a fatica, ansimando, e sentiva che non avrebbe recuperato le forze.
Non sapeva che cosa stesse accadendo.
Mentre scivolava con la faccia per terra sbattè il ginocchio, una lontana propaggine del proprio corpo, ormai insensibile. Si fermò proprio in quella posizione, accovacciato di lato, con le braghe rotte. Defecò qualche stitico spruzzo di diarrea.
Riuscì a prendere un respiro un po' più lungo e a sputare, catarro dalla gola e sangue dalla bocca, mentre i rigurgiti acidi dello stomaco gli rimanevano penzolanti dalle labbra.
Con un lampo degli occhi si rivolse intorno a sé. Polvere, polvere e suoni della battaglia, luce fioca e suoni rombanti e paurosi.
Mosse il braccio e anche se non sentiva tutte le dita in fondo alla mano intuì di aver scontrato un corpo come il suo. Morbido, sporco, intirizzito, con due palle nere in mezzo agli occhi tremanti, piene di Vuoto e di niente. Lo vide quando gli sguardi si incontrarono.
Fu come se il dolore scomparisse tutto d'un tratto e se quel tenue filo di vita umano avesse avuto il potere di rischiarare, ancora per un attimo, il mondo tutto intero.
Era la Guerra, era l'Apocalisse.
Chi si affrontava non erano due eserciti, con le proprie regole, le gerarchie, le divise, le bandiere. Le debolezze e le virtù. Qui combattevano tutti, tutti, uomini, donne, bambini, nati dall'origine della Vita fino a quelli del giorno più lontano nel futuro, dai morti nella culla agli eroi di guerra, dai vagabondi ai potenti, dalle prostitute ai cardinali. Chi combatteva per convinzione, chi per caso. D'altronde non importava Perché, contava solo Vincere. Infatti solo il vincitore avrebbe avuto Ragione: l'Uomo aveva creato Dio oppure Dio aveva creato l'Uomo. Era ora di decidersi, una volta per tutte, e la Storia avrebbe potuto infine concludersi.
In quel momento, negli occhi di quel corpo che stava toccando, capì che comunque sarebbe andata Dio esisteva. Così come l'Uomo era vero, anche Dio non poteva mancare: che fosse Padre o Figlio, in effetti, forse non era così importante. Gli venne in mente quella vecchia storia, dell'uovo e della gallina: non aveva mai davvero capito chi fosse nato per primo. Ma Dio era lì, dentro la testa di quei corpi in battaglia, defecava e bestemmiava anche lui, sputava soffriva e combatteva. Era un fratello, un compagno, un amico. Non avrebbe smesso di combattere, ora che vedeva le ragioni di tutti avere torto.
Si accovacciò, stringendo la mano a lui vicina, cercando di sentire ancora una volta prima di morire il tiepido calore del grembo materno nel freddo corpo di due moribondi.
In questo tentativo di amore lasciò rilassare le membra, stremato, e l'ultima scarica di diarrea che sentì uscire come una lama tagliente gli parve più solida della precedente.
Pensò all'uovo della gallina e con un ultimo sforzo la smorfia rigida si trasformò in un'idea di sorriso.
Quando il signor Q riaprì gli occhi, i muscoli erano contratti e il volto sporco di fango, i vestiti bagnati.
Mister D, coricato accanto a lui, sorrideva. Misses C stava rianimando il fuocherello che pian piano andava spegnendosi.
Il signor Q, agitato da un sonno inquieto, era scivolato nel fiume. Doveva asciugarsi prima della merenda.