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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 23 - 1 Settembre 2007 | 0 commenti

Un'odissea senza tempo

Esistono romanzi che raccontano la storia di un attimo. Un breve momento nel lento fluire dell'esistenza, capace di appassionarci, commuoverci e infine svanire, perdendosi nelle pieghe della memoria, nel ricordo della perfezione della sua finitezza. Esistono romanzi che, al contrario, ambiscono a racchiudere l'insieme dell'esperienza umana, in cui ogni vicenda rimanda ad una realtà altra, in cui non esistono colori netti e definiti, ma solo innumerevoli sfumature. In questo risiede la loro debolezza e allo stesso tempo la loro forza; perché se da un lato la polivalenza del verbo li rende apparentemente ostici e impenetrabili nella loro stessa essenza, dall'altro gli fa dono di quell'aurea di sacralità propria delle opere senza tempo. L'Ulisse di James Joyce è uno di questi.

L'Ulisse è il romanzo di un unico giorno, il 16 giugno 1904. Un giorno come tanti altri nella vecchia Dublino. I suoi abitanti lo trascorsero come al solito, tra fiumi di Guinnes, Power e J.J. & S., discorrendo di politica irlandese, intonando ballate patriottiche e scommettendo animatamente sulla Coppa d'Oro che si correva ad Ascot. Qualcuno morì quella mattina, e un bimbo nacque poco prima della mezzanotte. Un adulterio si consumò nella casa di un produttore d'inserzioni pubblicitarie, mentre i dublinesi spendevano il loro tempo, e il loro denaro, nelle osterie della capitale d'Irlanda. Nessun avvenimento eclatante, nessun episodio degno di nota. Un giorno apparentemente insignificante, se non fosse stato il giorno in cui un intero universo letterario crollò e qualcosa di nuovo sorse dalle sue macerie.

Il romanzo di Joyce narra l'odissea di un uomo e allo stesso tempo l'allegoria della società contemporanea, analizzata però non mediante la logicità dei rapporti sanciti dalla tradizione, ma attraverso la molteplicità percettiva dei suoi personaggi. Da questa volontà di racchiudere in un unico romanzo, che assume le fattezze di un'opera enciclopedica, il mondo sensibile nella sua poliedrica interezza, deriva la particolare struttura dell'opera, dove ad ogni capitolo viene associato un episodio dell'Odissea, un'ora del giorno, un organo del corpo, un colore, un'arte, l'uso di una determinata tecnica stilistica.

L'abolizione delle regole tradizionalmente riconosciute, la distruzione dell'ordo precostituito e la nascita di un nuovo ordo, che si fonda sul reale che nell'Ulisse trova la sua trattazione, avviene mediante una rivoluzione che si attua sul linguaggio, nel linguaggio e attraverso il linguaggio. La parola non è semplicemente parola che evoca, simbolo, rimando ad una realtà altra, quale poteva essere nelle summae medievali, ma è un vero e proprio rapporto analogico che attraverso la tecnica dello stream of conscious, rappresenterà insieme la peculiarità e uno dei maggiori motivi di “scandalo” dell'opera joyciana. La particolare tecnica del flusso di coscienza, contribuisce a dare al romanzo l'apparente immagine di un insieme di associazioni mentali di complessità caotica ed inestricabile. In realtà, la polivalenza del verbo, nonostante riconduca ad una fitta trama di rimandi, nonostante sembri collegarsi ad allusioni apparentemente impenetrabili, si fonda su di un preciso ordo, di cui il lettore viene, poco alla volta, messo a conoscenza.

Per questo l'Ulisse è il romanzo di un solo giorno è allo stesso tempo dell'intera esistenza umana, è l'odissea di ogni singolo uomo, è l'odissea delle nostre inquietudini, delle nostre paure, delle nostre delusioni. Per questo appartiene a quei romanzi di cui, se pur già letti, si continua a sentire la voce che di tanto in tanto ti chiama dall'alto dello scaffale per chiederti di sfogliarlo ancora e poi ancora…

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